Roy Chapman Andrews (1884-1960), paleontologo ed esploratore statunitense, ha rappresentato per decenni l’incarnazione dello scienziato avventuriero: competente e cultore della materia, ma anche coraggioso e avventato. Leggendarie sono state le sue esplorazioni in giro per il mondo per rifornire l’American Natural History Museum di reperti nuovi e di straordinario valore.
Nato a Beloit in Wisconsin, sin da ragazzino dimostrò una grande passione per la natura e per l’escursionismo. Imparò da autodidatta le tecniche fondamentali della tassidermia, diventando bravo al punto da renderla un’attività proficua che lo aiutò a pagarsi gli studi. Frequentò il Beloit College, dove i suoi corsi preferiti furono archeologia ed evoluzione. Date le premesse, era quasi imperativo per lui sviluppare un interesse per l’esplorazione e per le terre lontane e misteriose.
All’ultimo anno di college, nel 1905, Andrews rischiò di annegare quando la barca su cui viaggiava in compagnia dell’amico Monty White si rovesciò. La fredda corrente del fiume Rock, affluente del Mississippi, non lasciò scampo al suo compagno di viaggio mentre Andrews, non senza difficoltà, riuscì a raggiungere la riva. Da lì in avanti, molte altre volte l’esploratore avrebbe rischiato la vita, ma forse in quel frangente capì di essere dotato del sangue freddo necessario per affrontare situazioni pericolose. L’esperienza lo aiutò anche a realizzare quanto fosse fondamentale una preparazione attenta e meticolosa di ogni viaggio, per minimizzare il più possibile i rischi. Ciononostante, le disavventure non mancarono. Scrisse lui stesso: «Nei primi quindici anni sul campo ricordo almeno dieci occasioni in cui sfuggii alla morte per un soffio. Due volte rischiai di affogare per dei tifoni, una volta quando la nostra barca fu attaccata da una balena ferita, un’altra quando io e mia moglie fummo quasi mangiati da cani selvatici, un’altra volta fummo in grave pericolo a causa di sacerdoti lama fanatici, due volte fui a un passo dalla morte dopo essere caduto da dei dirupi, una volta fui quasi catturato da un enorme pitone, e due volte avrei potuto essere ucciso dai banditi». Uno dei suoi libri più famosi si intitolò, non a caso, Under a lucky star (“Sotto una buona stella”).
Nel 1906 entrò all’American Natural History Museum di New York. Non essendoci posizioni disponibili, accettò di buon grado un lavoro di custode, in cui però ebbe modo di mettere in mostra anche il suo talento di tassidermista. Ben presto fece carriera all’interno dell’istituzione, fino a diventarne direttore quasi trent’anni dopo, nel 1934. In quegli anni, leggendarie furono le sue esplorazioni in giro per il mondo, dall’Artide fino al sud della Cina, dall’Alaska per arrivare al deserto del Gobi. E fu proprio una serie di viaggi nel cuore della Mongolia che lo consegnò per sempre alla leggenda: nel corso di quattro spedizioni compiute tra il 1922 e il 1930 raccolse resti di dinosauri ancora sconosciuti ai tempi, tra cui il famosissimo Velociraptor, e nel luglio del 1923 fu il primo a dissotterrare delle uova di dinosauro, per la precisione di Oviraptor. Nel suo ultimo viaggio portò alla luce anche i resti di un mastodonte.
Roy Chapman Andrews passò gli ultimi anni della sua vita raccontando le sue avventure, scrivendo libri e articoli per riviste, e lasciando una traccia indelebile nell’immaginario collettivo, il perfetto archetipo dello scienziato avventuriero, al punto che molti sostengono che abbia ispirato la creazione del personaggio di Indiana Jones. Morì a 76 anni, nel 1960. Oggi la Roy Chapman Andrews Society mantiene vivo il suo ricordo, premiando ricercatori ed esploratori che si sono distinti nel far conoscere e amare la natura del nostro mondo.
«Volevo andare ovunque. Sarei potuto partire con un giorno di preavviso per il Polo Nord o il Sud, verso la giungla o il deserto. Non avrebbe fatto la minima differenza».
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