Lo hanno battezzato Saltriovenator zanellai ed è un grande dinosauro predatore vissuto 198 milioni di anni fa nella zona del varesotto, che nel Giurassico inferiore si trovava a nord-ovest dell’oceano Tetide ed era caratterizzata un ambiente marino tropicale fatto di terre emerse, con spiagge e foreste lussureggianti popolate di animali.
Saltriovenator zanellai ha due primati: è il più antico ceratosauro del mondo e il più massiccio dinosauro predatore del Giurassico inferiore, e anticipa di ben 25 milioni di anni la comparsa dei grandi dinosauri predatori. A spiegarcelo è un importante studio pubblicato in questi giorni sulla rivista scientifica PeerJ firmato da un team di paleontologi italiani guidati da Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano.
Una macchina da combattimento
Saltriovenator zanellai era lungo otto metri e alto tre, pesava almeno una tonnellata, aveva un cranio possente di ottanta centimetri equipaggiato di denti aguzzi e seghettati e arti anteriori muniti di quattro dita, di cui tre dotate di lunghi artigli. Aveva un’andatura bipede con coda sollevata e testa protesa in avanti in atteggiamento predatorio. Andava a caccia di dinosauri erbivori e piccoli carnivori di cui probabilmente abbondavano questi ambienti nel Giurassico inferiore. I resti ritrovati appartenevano con ogni probabilità a un individuo subadulto, di circa 24 anni.
Nonostante il tempo infinito che ci separa da quei giorni, una serie di indizi ci raccontano di come morì questo animale. Le sue ossa, infatti, sono ricche di segni lasciati da invertebrati marini che le rosicchiarono, esattamente come spesso si riscontra oggi sugli scheletri dei cetacei. Questo suggerisce che la carcassa andò alla deriva nelle calde e basse acque di quell’antico mare, per poi depositarsi sul fondale dove in seguito i sedimenti l’hanno via via ricoperta e conservata fino a noi.
Una vecchia conoscenza
Dietro il nome di Saltriovenator zanellai si cela in realtà una vecchia conoscenza dei paleontologi, il Saltriosauro, rinvenuto nel 1996 da Angelo Zanella del Gruppo Brianteo Ricerche Geologiche di Paina di Giussano (Como) nella cava Salnova di Saltrio (Varese). L’estrazione delle ossa fu eseguita con una tecnica di preparazione chimica dal Museo di Storia Naturale di Milano, un processo finalizzato a sciogliere con un acido organico diluito in acqua la matrice rocciosa, composta di carbonato di calcio. Un lavoro lungo che iniziò nel 1999 e si concluse nel 2000 dopo 1800 ore di bagni acidi. Dai 300 chili di roccia disciolti, vennero recuperati 132 resti ossei dai quali si intuì che fossero appartenuti a un dinosauro carnivoro di grandi dimensioni. Tuttavia, per ricomporre il mosaico di cui rimanevano solo piccoli frammenti (anche se assai significativi) ci sono voluti anni di paziente e sistematico lavoro di analisi che hanno visto coinvolti, oltre a Cristiano Dal Sasso, anche Simone Maganuco (collaboratore Museo di Storia Naturale di Milano) e Andrea Cau (Museo Geologico “Capellini” di Bologna), coautori nello studio scientifico di 78 pagine ora dato alle stampe. Il nome provvisorio di Saltriosauro è stato aggiornato in Saltriovenator zanellai, in riferimento alla località del ritrovamento, al fatto che il dinosauro era un venator, cioè un cacciatore, e in omaggio al suo scopritore Angelo Zanella.
Diverso dal suo primo identikit
Le lunghe indagini a cui sono stati sottoposti i frammenti di ossa fossilizzati di Saltriovenator hanno mostrato che l’animale era un po’ diverso dal primo identikit che ne venne fatto. Gli arti anteriori avevano quattro dita, non tre, dunque non si trattava di un allosauro primitivo come ipotizzato ma di un ceratosauro, il più antico e il più grande del Giurassico. Un primato assoluto. «Sebbene frammentario, lo scheletro di Saltriovenator mostra un mosaico di caratteri anatomici ancestrali e derivati, che si trovano rispettivamente nei dinosauri con mani a quattro dita, come i dilofosauri e i ceratosauri, e nei teropodi tetanuri che hanno mani con tre dita, come gli allosauri», spiega il primo autore Cristiano Dal Sasso, che per venire a capo delle “indagini” si è recato fino in California (Berkeley) e a Washington (Smithsonian) per eseguire raffronti con scheletri più completi. Alcune delle illustrazioni presenti nell’articolo sono state ricavate combinando più di 150 file di immagini. «Non tutti i frammenti combaciano, ma molti sono adiacenti e ci permettono di ricostruire così la forma di intere ossa. Per completare il puzzle è stato significativo l’uso di una stampante 3 – D: per esempio, parte della scapola sinistra è stata trasformata in scapola destra grazie ad una ‘stampa a specchio’, ottenendo un osso più completo»
I nove segni particolari di Saltriovenator
Ma vediamo quali sono gli indizi più interessanti. Come in Ceratosaurus, la scapola è stretta e allungata, mentre un elemento di vicinanza con Dilophosaurus è la forma ellittica del coracoide (un osso del petto).
L’omero (l’osso più grande del braccio) ha un’enorme cresta deltopettorale (superficie di inserzione per i muscoli deltoide e pettorale).
E ancora, come in molti altri ceratosauri, nel polso è presente un solo osso carpale.
Inoltre, la forma del secondo osso metacarpale della mano presenta una profonda fossa orlata da una cresta ossea prominente, mai così sviluppata in alcun altro dinosauro. Ciò suggerisce che gli arti superiori erano capaci di trattenere le prede con molta forza.
Altre due caratteristiche da ceratosauro sono la mano a quattro dita, con falangi piuttosto corte e tozze, e le ossa tarsali nella caviglia, dalla forma primitiva. Le ossa metatarsali, invece, rimandano a quelle dei grossi dinosauri carnivori comparsi successivamente: sono robuste e in stretto contatto nella parte superiore ma ben allargate verso le dita, in modo da sopportare meglio il peso del corpo.
Infine, è stata ritrovata una furcula, un osso del petto a forma di V oggi presente solamente negli uccelli, e che costituisce la più antica mai trovata.
Indizi sulla storia evolutiva degli uccelli
Il dinosauro di Saltrio ci aiuta anche a comprendere un tassello fondamentale che ha a che fare con la storia evolutiva dell’ala degli uccelli.
Si sa che gli uccelli si generarono dai tetanuri, un gruppo di dinosauri teropodi comparsi nel Giurassico che nel tempo avevano ridotto a tre il numero delle dita della mano. Gli studi eseguiti su Saltriovenator dimostrano che l’ala fu generata dalla fusione del I, II e III dito e che ad andare progressivamente scomparendo furono l’anulare e mignolo.
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