Uno scandalo soppianta l’altro. Le mazzette targate Expo Milano 2015 hanno lasciato le prime pagine dei giornali, soppiantate dall’ondata di arresti per il Mose. Nessun fulmine a ciel sereno, però. Basta rileggere articoli e inchieste di questi ultimi anni. Più di una voce aveva gridato: attenti! Voci sospettose che dietro quelle opere si nascondesse, in modo quasi fisiologico, il malaffare. Molto era già stato scritto, documentato, messo in evidenza. Ma per arrivare agli ordini di custodia cautelare ci sono voluti anni di indagini e di attento lavoro da parte delle procure, perché dall’epoca di Tangentopoli a oggi il mondo dei corrotti e dei corruttori si è affinato.
Lo scenario che ci viene restituito in queste settimane è quello di un paese contagiato dalla disonestà in ogni suo comparto: generali e ministri, governatori e sindaci, architetti e manager, tutti impigliati nella ragnatela degli appalti truccati e delle tangenti.
Possono raccontarci che l’Expo non si può fermare perché altrimenti faremmo una brutta figura davanti a tutto il mondo (ma la brutta figura l’abbiamo già fatta, eccome!).
Possono invocare l’emergenza cantieri. E i politici citati nelle intercettazioni possono dire: sono solo millanterie! Ma ai cittadini onesti resta ugualmente la visione tragica di un paese che non sa e non vuole guarire dal suo male più sudicio e radicato, la corruzione.
Manifestano i comitati No Expo e No Mose. Rivendicano le loro ragioni. Per anni hanno gridato nel vuoto, fra la disattenzione generale. Eppure dicevano cose che si sono rivelate giuste: ovvero che questi eventi e queste grandi opere non servono allo scopo per cui sono stati progettati, ma sono soltanto fucine del sistema corruttivo milanese, veneziano e di tutto il Paese.
Già, ma che razza di Paese siamo? Secondo molti, il malaffare che sta emergendo in queste settimane non è che la punta di un iceberg del quale non si conosce la parte sommersa. Raffaele Cantone, da poco a capo dell’autorità anti-corruzione, sostiene che il problema è prima di tutto culturale. Probabilmente ha ragione. Per sovvertire una tendenza culturale, però, occorrono anni, decenni. E nel frattempo? Il Paese sta sprofondando dalle fondamenta, e la similitudine con Venezia è premonitrice. Nell’attesa fiduciosa di una classe dirigente meno immorale, resta solo la deterrenza delle pene, che da noi però è bassissima. Negli Usa, per fatti simili, i responsabili trascorrono in carcere gran parte della loro vita. Da noi, secondo un recente rapporto Ocse, su un totale di 58mila detenuti sono solo 156 i reclusi per reati di corruzione, concussione, abusi di ufficio e affini. 156 persone punite a fronte di migliaia di implicati in scandali di ogni genere. Tutti gli altri, quindi, o sono risultati innocenti, o vagano a piede libero, magari aspettando una prescrizione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La riproduzione è consentita esclusivamente con la seguente citazione: Fonte rivistanatura.com