Che strano Paese, l’ Italia. Tutto ciò che rende grande la sua storia è destinato a cadere nell’oblio. Al contrario, tutto ciò che infanga la sua immagine mette radici in profondità.
Un Paese straordinario e orribile al tempo stesso. Il paesaggio che ha fatto sognare generazioni di viaggiatori di tutto il mondo sembra definitivamente dimenticato, sepolto sotto cemento e asfalto. Le città che un tempo si distinguevano per magnificenza sono state sfigurate da avidità speculative e sciatta incuria. I tesori archeologici sono stati depredati. Le bellezze artistiche in gran parte trascurate. La conservazione dell’antico è una conquista della modernità, sosteneva Antonio Cederna; e infatti tutto si può dire dell’Italia, fuorché sia un Paese moderno.
Anche la bicicletta rafforza il paradosso italiano. Per decenni è stata un autentico mito nazionale, eppure oggi le nostre strade e le nostre città ne sono stranamente prive. “È impossibile capire l’Italia degli anni Quaranta e Cinquanta se si tralasciano Coppi e il ciclismo”, ha scritto John Foot, professore di Storia contemporanea italiana all’University College di Londra e autore del libro Pedalare!.
Gli italiani amavano i ciclisti perché si specchiavano in loro. All’epoca i corridori non avevano tecnici, medici e massaggiatori al seguito, e riparavano le loro bici come i contadini aggiustavano da soli fabbricati e attrezzi. Non c’era differenza tra i campioni e gli spettatori che li aspettavano.
Poi questo amore si è spezzato, o perlomeno è diventato un’altra cosa. Secondo Foot, due film incarnano questo delicato passaggio: Ladri di biciclette (1948) e Il sorpasso (1962). Dalla povertà al lusso, dalle due ruote alla Lancia Aurelia. E il Belpaese è diventato questa roba qua.
Simbolo della decadenza del ciclismo e, se vogliamo continuare a seguire la suggestione che ci propone Foot, dell’Italia intera è la sorte del velodromo Vigorelli di Milano. Fra il 1935 e il 1958 fu teatro di imprese straordinarie, su quella pista fu battuto il record dell’Ora per sei volte. Nel 1985, una nevicata fece crollare il tetto. Ci vollero anni perché venisse riaperto; ma presto è caduto in disuso ed è nei fatti abbandonato.
Ora proprio dall’Italia è partita un’iniziativa che si propone di candidare la bicicletta al Nobel per la Pace 2016. È promossa da Caterpillar, trasmissione di Rai Radio2. La Rivista della Natura ha accolto con entusiasmo questa candidatura, che suona come una straordinaria occasione di riscatto per tutti quegli italiani che non si sono mai rassegnati alla triste parabola del boom economico, quella che ha visto scomparire i valori saldi e sopravvivere gli arrivisti e gli arrampicatori sociali.
Anche l’emergenza smog è d’insegnamento: dobbiamo imparare a scendere da un’auto che non è mai stata governata come si dovrebbe e tornare a pedalare. Chi sognava e continua a sognare il cambiamento può trovare tutte le informazioni per sostenere la candidatura della bicicletta al Nobel per la Pace 2016 e diventare un hub per la raccolta delle firme qui.
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