Siamo degli occidentali. Apparteniamo all’Occidente. Chi di noi non ha mai pronunciato queste frasi? Magari con orgoglio, per sottolineare un segno d’appartenenza o per rivendicare una superiorità.
Gli uomini tendono a riconoscere di appartenere alla stessa razza o allo stesso rango sulla scorta di elementi distintivi più o meno evidenti. Eppure nel caos dei primordi, all’inizio dei tempi, quando abbiamo preso coscienza della nostra posizione eretta, del nostro pollice opponibile e della nostra dignità umana, abitavamo tutti quanti in una terra lontana. La nostra specie ha avuto origine dal continente africano prima di frazionarsi in tribù, popoli e civiltà differenti. Dunque siamo tutti quanti degli immigrati divenuti ormai sedentari.
L’uomo è per sua natura migrante, ha spiegato più di vent’anni fa Hans Magnus Enzenbergher in un bel saggio intitolato “La grande migrazione” (Einaudi, 1993): «Dopo un secolo e più di ricerche paleontologiche non è stata ancora chiarita con certezza l’origine dell’homo sapiens. Ma pare si sia d’accordo sul fatto che questa specie sia comparsa per la prima volta nel continente africano e che si sia sparsa su tutto il pianeta mediante una lunga catena di migrazioni caratterizzata da spinte complesse e rischiose. La sedentarietà non fa parte delle caratteristiche della nostra specie fissate per via genetica».
Da sempre a sostenere gli incessanti flussi migratori sono due fattori determinanti: “d’espulsione” e “d’attrazione”. Al loro interno c’è una varietà consistente di motivazioni che possono generare la decisione di partire, ma il più delle volte la spinta migratoria avviene “per fame”, dove la fame diventa metafora di ciò che manca: cibo, libertà, diritti, possibilità di realizzare le proprie aspirazioni e aspettative di vita. La vicenda umana che ha coinvolto e coinvolge centinaia di milioni di persone è stata ed è segnata dalla fame.
Quelle che noi oggi chiamiamo sbrigativamente e per necessità di sintesi “carrette del mare” – imbarcazioni di fortuna che accolgono in gran numero chi (donne, uomini e bambini) percorre mezza Africa per raggiungere le sponde mediterranee e salpare verso l’Europa – sono solo l’ultima, inadeguata zattera verso la speranza.
I paesi ricchi dispongono di oltre l’80% del prodotto mondiale, pur ospitando il 22% della popolazione, i paesi poveri dispongono solo del 20% del prodotto mondiale, pur rappresentando il 78% della popolazione. Nei primi 10 mesi del 2016 sono stati 3654 i migranti morti durante la traversata nel Mediterraneo. Ci indigniamo, certo, inveiamo contro scafisti delinquenti che scaraventano la gente in mare senza scrupoli. Non basta. Come hanno esortato alcune autorità spirituali e molte ong impegnate ad affrontare questa tragedia siamo chiamati anche noi a rimetterci in cammino, a intraprendere un esodo interiore verso la cultura dell’ospitalità e della differenza.
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