Partiremo dal camp domani mattina alle 4 per raggiungere Khongoryn els, dove attenderemo il sorgere del sole previsto per le 5:30. Voglio arrivare in tempo per cogliere la luce radente che evidenzia le ondulazioni armoniose delle dune. Ogni traccia lasciata di giorno dalla vegetazione, dagli animali e dagli esseri umani viene cancellata dalla notte e con l’alba tutto riappare al suo massimo splendore.
L’aria sarà ghiacciata, almeno fino a quando il sole non supererà la linea dell’orizzonte, da quel momento la temperatura salirà rapidamente fino a risultare insopportabile. Esco dalla ger (la tradizionale tenda mongola) facendo attenzione a non colpire con la testa, come spesso mi accade, il basso e insidioso trave della porticina d’entrata. Intorno a me solo buio e un numero infinito di stelle che brillano come si vede solo nei presepi. Gala, la mia guida, lampeggia con i fari del fuoristrada dal parcheggio per indicarmi la sua posizione. Accendo la lampada frontale per vedere dove metto i piedi e lo raggiungo. Siamo entrambi assonnati e infreddoliti. Ci rivolgiamo un semplice sguardo in segno di saluto, poi lui mette in moto e partiamo senza dire una parola.
Ci muoviamo verso sud, fino a incontrare un corso d’acqua dove i pastori nomadi portando ad abbeverare cammelli e capre. Pieghiamo quindi ad ovest, dove il paesaggio è più impressionante, come avevo avuto modo di verificare il giorno precedente. Khongoryn els, ora al nostro lato sinistro, è una spettacolare striscia di dune lunga più di 200 chilometri e larga 30, che emerge per alcune centinaia di metri dalle pianure sassose del deserto del Gobi.
È come se una delle tante divinità locali avesse lanciato una manata di sabbia da ovest verso est per tagliare in due quelle aride terre. Arrivati all’area prevista saluto Gala, che non indugia a reclinare lo schienale del sedile e avvolgersi nella sua coperta per riprendere sonno in attesa del mio ritorno.
L’itinerario ipotizzato il pomeriggio precedente risulta ora impossibile da individuare. Col buio le distanze si confondono e le pareti di sabbia sembrano ancora più ripide. Inizio a salire, ma sprofondo fino alle caviglie. Due passi in avanti corrispondono costantemente a uno verso il basso. In pochi minuti la fatica mi fa scordare il freddo e anche le mani si riappropriano della sensibilità che era venuta meno. La cima sembra lontanissima, irraggiungibile, nonostante il modesto dislivello di 250 metri.
Inizia ad albeggiare e la luce facilita le operazioni. Continuo a camminare, cambio direzione, aggiro una duna, poi risalgo in diagonale un pendio poco scosceso. Arrivano i primi raggi del sole a donare nuova forma al paesaggio. Mi fermo, prendo fiato, scatto qualche foto in cerca di linee e dettagli. Raggiungo ancora una cresta che percorro fino ai piedi dell’ultimo strappo che mi porta alla cima, dove il panorama si apre a 360 gradi.
Apro ancora il cavalletto e scatto una sequenza di foto che a casa trasformerò in un’unica immagine panoramica. La temperatura sale, così la t-shirt prende il posto del giubbotto invernale.
Rivolgo lo sguardo verso est, dove le dune si appiattiscono fino a confondersi con la steppa. All’improvviso una porzione di cielo alta diverse centinaia di metri si colora di rosso. Avanza rapidamente, oscurando tutto ciò che lascia dietro di sé. Dopo pochissimi minuti si trova a una distanza talmente ravvicinata da concedermi solo il tempo di scattare una foto prima di riporre l’attrezzatura nello zaino per proteggerla. Tento di individuare dall’alto la direzione da prendere per raggiungere il fuoristrada, ma in quel momento vengo inesorabilmente travolto dalla tempesta di sabbia. Non posso tenere gli occhi aperti, così sollevo la maglietta fino a coprire volto e testa. Riesco a fatica a riconoscere le forme delle dune che avevo memorizzato dall’alto. I granelli di sabbia mi colpiscono con violenza al petto e all’addome. Scendo a grandi falcate, mentre il vento continua ad aumentare d’intensità. Finalmente trovo il fiume, che attraverso cercando di mantenere l’equilibrio. Al lato opposto trovo la pista di sabbia che costeggia il fiume e che mi condurrà al fuoristrada. Non sono però certo della direzione da seguire: destra o sinistra. Seguo l’istinto, procedo verso est, contro un vento tanto forte da farmi camminare vistosamente proteso in avanti per non cadere. La visibilità non supera i 3-4 metri. Il colore bianco del fuoristrada non mi aiuterà certo nella ricerca. Il tempo passa e inizio a dubitare della direzione presa.
So bene che la tempesta durerà fino a sera, non ho quindi altra scelta che continuare a cercare. Riconosco il tratto del corso d’acqua nel punto in cui l’avevo attraversato diverse ore prima. Poi finalmente una forma famigliare. Apro una delle due porte rimaste sottovento. Gala si gira di scatto, appare vistosamente agitato. Mi guarda, prende il suo vocabolario mongolo/inglese e mette insieme alcune parole: «Gala – afraid – not – see – Davide… never».
Il momento dello scatto
Tutti i deserti di sabbia sono una fonte inesauribile di spunti fotografici. È sufficiente spostarsi di qualche centimetro per stravolgere le inquadrature, cambiare le prospettive e trovare nuove composizioni. Per evidenziare le ondulazioni della sabbia è fondamentale che la luce sia radente, in quanto dona maggiore tridimensionalità a ogni superficie.
Mentre risalivo le dune individuai un’area dove le linee si incrociavano con particolare armonia, così mi fermai e mi avvicinai facendo grande attenzione a non calpestarle. Avanzai lentamente, tentando diverse inquadrature, giocando con le ombre e le luci. Infine mi abbassai fino a sprofondare con i gomiti nella sabbia, in modo da dare maggior risalto alle ondulazioni più vicine a me.
Chiusi il diaframma a f14 per donare maggiore profondità di campo e dettaglio. In quella posizione, particolarmente stabile, il tempo di 1/25 di secondo risultò sufficientemente rapido per assicurare un’immagine ferma. Se avessi atteso ancora qualche minuto la tempesta di sabbia avrebbe reso vano ogni sforzo.
Dati tecnici
- Data: 02/08/2007
- Corpo macchina: Nikon D2x
- Obiettivo: Nikkor 17/55 f 2,8
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 31 mm
- Apertura diaframma: F 14
- Tempo otturatore: 1/25 sec.
- Compensazione esposizione: 0
- Sensibilità sensore: ISO 100
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze:
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