Perché nei numerosi talk-show politici non sentite mai parlare della nostra dipendenza energetica oppure degli impatti che la produzione di cibo ha sul pianeta (che poi è il tema di Expo 2015!) o, ancora, dei piani per affrontare il cambiamento climatico? Per due semplici ragioni: la prima è che di tutto questo i nostri governanti non sanno nulla; la seconda è che i giornalisti sono a loro volta ignoranti in materia, salvo rare eccezioni. Un vecchio detto ricorda che non esistono domande stupide, ma solo risposte stupide. Troppo spesso, però, in Italia manca chi sa porre le domande.
L’opera di disinformazione prosegue senza intoppi da anni, appoggiata dal teatrino dei soliti editorialisti che si gettano a capofitto sulle disgrazie all’indomani di un’alluvione o di una frana, ma poi tornano con civetteria a cianciare di riforme inesistenti, conflitto di interessi, geometrie istituzionali e tutta quella cornucopia di vuote espressioni. La reazione dell’opinione pubblica a questo spregiudicato uso di stampa e Tv è descritta in modo sublime da George Orwell in 1984: «Tenerli sotto controllo non era difficile. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza dei problemi più grandi».
La recente elezione del Presidente della Repubblica ha confermato, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, la marginalità dei temi legati a un uso sostenibile delle risorse naturali nel dibattito politico nazionale. In molti, moltissimi nelle settimane precedenti al voto hanno spiegato le qualità che avrebbe dovuto possedere il nuovo inquilino del Quirinale. Tra la lunga teoria di attributi primeggiavano: garante, competente, esperto, conosciuto, apprezzato, autorevole. C’è stato perfino chi si è divertito a tracciare l’identikit al contrario, elencando le caratteristiche che non avrebbe dovuto avere il successore di Napolitano. Ma non ho sentito nessuno dire che il nuovo Presidente dovrà credere nella bellezza della natura e del paesaggio d’Italia e considerarla un fattore decisivo su cui costruire il nostro futuro.
Sergio Mattarella, per la verità, nel suo discorso di investitura davanti al Parlamento ha detto fra molte altre cose che “garantire la Costituzione significa (…) amare i nostri tesori ambientali e artistici”. Meglio di niente, ma avrebbe potuto dire di più. Avrebbe potuto dire, per esempio, che troppi disastri ambientali sono stati compiuti nel nostro Paese. Che troppi sono morti a causa dell’amianto, delle emissioni nocive e di vari inquinanti cancerogeni a Casale Monferrato, Taranto, Marghera, Manfredonia, Brindisi, Gela e altrove. Che mafia, ‘ndrangheta e camorra non soltanto calpestano i nostri diritti, ma divorano il suolo e portano sulle nostre tavole i loro veleni. Che circolano ancora troppi speculatori spregiudicati, inquinatori recidivi, imprenditori killer. Ma questo forse non lo poteva dire, perché c’erano troppi presenti che avrebbero potuto aversene a male pensando che stesse parlando di loro. Magari gli aveva stretto la mano poco prima.
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