I pesci tetraodontidi, comunemente conosciuti come “pesci palla” accumulano nei loro tessuti una neurotossina termostabile (TTX) che può rivelarsi anche letale per l’uomo, se ingerita.
Per questo motivo, il loro consumo è proibito nella maggior parte dei Paesi, ad eccezione del Giappone dove vengono utilizzati per la preparazione di un piatto tradizionale (Fugu), realizzato con un adeguato trattamento che neutralizza il veleno. Nonostante il divieto, è capitato che partite di pesci palla fossero immesse illegalmente nella filiera alimentare, un evento assai più frequente in Asia, e più raro in America e in Europa. In Italia, i casi di intossicazione da tetraodontidi risalgono agli anni ‘70.
Tuttavia, questo scenario potrebbe cambiare. Il Mar Mediterraneo, infatti, sta attualmente subendo una vera e propria invasione di pesci palla di origine Indo-Pacifica, tra cui la specie più abbondante è ora il pesce palla argenteo, Lagocephalus sceleratus. Penetrato nel Mare Nostrum attraverso il Canale di Suez, questo pesce si sta diffondendo con successo, anche grazie alla mancanza di competitori e predatori.
Ormai abbondante nelle coste levantine, dove ha già causato diversi episodi di intossicazione presso le popolazioni locali, da qualche anno ha fatto qualche sporadica comparsa anche lungo le coste italiane meridionali.
Il progressivo aumento dell’abbondanza di pesci palla nello scarto del pescato in Mediterraneo aumenta le probabilità che questi finiscano accidentalmente (o illegalmente) nella filiera alimentare, con conseguenti rischi per i consumatori di tutta Europa, che potrebbero trovarsi a ingerire prodotti ittici contaminati da TTX.
Per affrontare questo problema, un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana sta ora lavorando allo sviluppo di markers molecolari per identificare rapidamente la presenza di pesce palla nei prodotti ittici freschi e lavorati.
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