In un paesaggio ricamato dalle vigne delle colline bolognesi, emerge il rilievo di Monteveglio, con la sua celebre abbazia, voluta da Matilde di Canossa, e il suo Parco regionale. Un’area nata a tutela di calanchi e boschi ma anche dell’antico borgo.
Il piccolo Parco di Monteveglio, dalle caratteristiche uniche
Monteveglio è un piccolo centro situato tra le colline preappenniniche, a metà strada tra Modena e Bologna. Il paese è costituito da due abitati distinti: il più antico è posto sul culmine di una collina, sulla quale svetta la celebre Abbazia, mentre ai piedi del colle si estende l’abitato più recente. Tutto intorno dominano ampie distese agricole ben integrate con il paesaggio. La pace sembra regnare sovrana a dispetto dell’origine del nome di Monteveglio, mons belli, monte della guerra, teatro di tante battaglie durante il Medioevo.
Per cogliere a fondo lo spirito di questi luoghi è bene salire in cima al rilievo in una bella giornata di primavera, percorrendo uno dei numerosi sentieri che conducono all’Abbazia o attraverso la carrozzabile. I campi cominciano a lasciare spazio agli incolti e a piccole macchie boscate, in un mosaico sempre più naturale.
Quando si arriva in alto, nei pressi dell’Abbazia e della Chiesa di Santa Maria Assunta, eretta quasi mille anni fa, e si rivolge lo sguardo attorno, si vede quale particolare ambiente tuteli questo piccolo parco di appena ottocento ettari.
Se verso Est si animano morbide colline ricoperte da coltivi e boschi, verso Sud-Ovest, si stende il paesaggio lunare dei calanchi, uno degli ambienti più preziosi e singolari della zona. Le grigie distese, riarse dal sole e solcate dai canali prodotti dall’erosione delle piogge, possono apparire monotone e degradate, ma in primavera, quando le giornate si allungano, si colorano di abbondanti fioriture, quanto mai inattese vista la natura instabile e inospitale di questi luoghi.
I calanchi sono infatti costituiti da piccolissime particelle d’argilla, impermeabili all’acqua, che è così libera di ruscellare in superficie, dando luogo a solchi sempre più profondi e a un terreno particolarmente franoso.
Le argille scagliose
Buona parte dei paesaggi calanchivi dell’area protetta si deve alle argille scagliose: si tratta degli antichi sedimenti che costituivano i fondali dell’Oceano Ligure, un piccolo bacino marino che 100 milioni di anni fa rappresentava il ramo occidentale del ben più vasto Oceano Tedide.
Nel corso dell’orogenesi appenninica, prodotta dalla collisione tra la zolla africana e quella europea, gli stati di argille scagliose hanno subito spostamenti anche di 200 chilometri, deformandosi e mescolandosi, assumendo, al posto di un’ordinata successione di strati orizzontali, il loro caratteristico assetto “caotico”. Un miscuglio di rocce differenti in cui si osservano argille colorate, tra le quali emergono inclusi marnosi più chiari, di forme spesso irregolari, sovente affiancati da rocce marnose, di colore grigiastro, che compongono anche i principali rilievi del Parco: Monte Gennaro (338 m), Monte Freddo (349 m), il colle di Monteveglio e quello della Cucherla, rivestito da sabbie plioceniche ricche di fossili.
Il Castello e l’Abbazia, un salto nel passato ai tempi di Matilde di Canossa
Le colline di Monteveglio, e la Valle Samoggia che le ospita, hanno una lunga storia fatta di scontri, assedi e battaglie che insanguinarono queste terre per tutto il Medioevo.
La maggiore testimonianza di questi trascorsi è il castello di Monteveglio del quale, tuttavia, non è rimasto molto. L’antica rocca è scomparsa ed è conservato solo il portale, sormontato dal cammino di ronda con merli a coda di rondine, oltre al grande torrione che difendeva il castello.
Ancora oggi, tuttavia, si ricorda la vocazione guerriera della cittadina che giunse all’apice della fama attorno all’anno mille, quando sotto il controllo di Matilde di Canossa il castello divenne quasi inespugnabile.
Tra queste colline si svolse l’ultimo atto dello scontro tra la potente contessa e l’imperatore germanico Enrico IV che, sconfitto dai montevegliesi, nel 1097 lasciò per sempre l’Italia.
Dopo la morte senza eredi di Matilde, il castello fu al centro di furiosi scontri per il suo controllo tra la guelfa Bologna e la ghibellina Modena: nel 1325, nei pressi di Zappolino, si tenne una delle più sanguinose battaglie del Medioevo, in cui ci perirono dai 2 ai 3 mila soldati. Con l’avvento delle artiglierie, dalla seconda metà del secolo XV, come molti castelli, anche quello di Monteveglio andò progressivamente in rovina.
Sorte diversa ha avuto il principale edificio del parco, l’Abbazia che, con la chiesa adiacente, è stata totalmente restaurata. La chiesa di Santa Maria Assunta, eretta tra l’XI e il XII secolo, ad eccezione di alcune parti preesistenti osservabili nella cripta e negli absidi, è una delle pievi più antiche della diocesi bolognese. L’abbazia fu invece fondata da Matilde di Canossa nell’XI secolo. Appena completata, nel 1100 fu assegnata ai Canonici regolari di San Frediano di Lucca, che qui rimasero per circa 350 anni, sostituiti poi dai Canonici regolari lateranensi, i quali gestirono il complesso fino al 1776 quando vennero scacciati con l’invasione napoleonica. Adesso l’abbazia è sede della Comunità dei Fratelli di San Francesco.
Per molti secoli l’Abbazia contribuì al mantenimento di questi luoghi, diventando il punto di riferimento religioso, amministrativo ed economico del territorio. Anche l’attuale Centro Parco di San Teodoro, un antico podere perfettamente restaurato, faceva parte dei possedimenti dei canonici.
Gli insediamenti umani in queste colline hanno comunque origini ancora più antiche: sul vicino Monte Morello, infatti, sono venute alla luce, verso la fine dell’Ottocento, reperti di origine etrusca e romana, adesso custoditi nei musei archeologici di Modena e Bologna.
Il fascino dei vigneti
Le verdi campagne attorno a Monteveglio, e in particolare quelle alle spalle del complesso dell’Abbazia, sono rivestite dai filari ordinati dei vigneti. D’altronde, nel bolognese, la vite è stata coltivata sin dall’epoca degli etruschi cui si attribuisce l’invenzione della piantata, sistema di allevamento impiegato sino alla prima metà del XX secolo.
Il Parco ricade nel territorio dei vini DOC dei Colli Bolognesi, il cui consorzio ha sede proprio a Monteveglio alta. Tra i nomi più tipici c’è quello del Pignoletto, vitigno autoctono da cui si ottiene un vino bianco dal profumo delicato, fruttato, intenso che rimanda ai fiori di biancospino, considerato il vero “Re dei Colli Bolognesi”. Di questo vitigno si parla già nel I secolo d.C.: Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia”, riferisce di un vino chiamato “Pino Lieto”, che a quei tempi veniva poco apprezzato dai romani, estimatori di vini ben più dolci.
A Monteveglio si producono anche Barbera, Lambrusco, Sauvignon, Albana, Alionza e Vernaccia. Discorso a parte merita una particolarissima uva da tavola, il Saslà, proveniente dal vitigno francese Chasselas dorato, dalla maturazione precoce (fine agosto – prima metà di settembre) e dal sapore gradevolissimo. Il grappolo è di grandezza media così pure gli acini rotondi e giallo-dorati. Nella zona collinare di Monteveglio era in passato molto coltivata. Adesso è meno comune perché è un’uva a buccia esile, facilmente degradabile e, pertanto, meno commerciabile.
Info pratiche
Come arrivare
- In automobile: dalla A1, uscite di Casalecchio di Reno o Modena Sud. Prendere poi la SS 569 Bazzanese.
- In treno: linea Casalecchio Vignola fino a Bazzano e coincidenza pullman ATC per Monteveglio.
Periodo adatto
- La stagione migliore è di gran lunga la primavera, il momento in cui il paesaggio è ravvivato dalle fioriture, il clima è mite e gli alberi da frutto stanno germogliando.
- In estate la valle del Rio Ramata garantisce qualche angolo fresco, ma è comunque meglio attendere l’autunno, quando le temperature sono meno severe e la vegetazione comincia a cambiare colore.
- In inverno il clima non è mai troppo rigido, ma il paesaggio può essere eccessivamente spoglio.