Per secoli si è creduto che il narvalo (Monodon monoceros) fosse l’unicorno dei mari. In tutte le epoche storiche si è ritenuto che il suo lungo dente, in grado di raggiungere anche i 5 metri, fosse di grande valore. La Regina Elisabetta I acquistò una zanna di narvalo per arricchire la collazione dei gioielli della corona e anche nella basilica di San Marco a Venezia sono conservati tre denti di narvalo.
Una tradizione antica, che rimanda alle epoche dei vichinghi e che è purtroppo ritornata nel XXI secolo.
Secondo il WWF, infatti, il narvalo è sempre più cacciato per via della sua zanna, che sta andando a sostituire quella degli elefanti africani nella produzione di manufatti in avorio.
Tra tradizione e limitazioni
L’Iucn, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, stima che la popolazione di narvalo conti 75mila individui e, per questo, non è considerata a rischio.
L’organizzazione ha, però, messo in guardia sui danni provocati dalle crescenti uccisioni a scopi commerciali e che potrebbero esporre questo animale marino a seri pericoli di sopravvivenza.
I dati sul commercio di narvali sono ancora poco chiari. Di certo si sa che tra il 2007 e il 2011 circa mille esemplari di questo cetaceo sono stati uccisi dalle popolazioni Inuit. Groenlandia e Canada, infatti, ne autorizzano la caccia per questa popolazione dell’artico.
Sul mercato nero le zanne di narvalo raggiungono cifre da capogiro: vengono pagate, infatti, fino a 14mila euro ciascuna.
Il mercato di questo avorio è particolarmente fiorente in Oriente, dove la medicina tradizionale ne attribuisce proprietà miracolose.
Stesso destino per il tricheco
Un altro animale condivide col narvalo questo triste destino: si tratta del tricheco (Odobenus rosmarus), finito anch’egli nelle mire dei cacciatori per via delle sue peculiari zanne.
L’Iucn ha classificato questa specie come “vulnerabile”. Alcuni stati, come le Hawaii e la California, hanno già bandito il commercio di questo materiale.
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