È l’oro italiano, ma presto potrebbe scomparire a causa del cambiamenti climatici.
La produzione di olio d’oliva, infatti, è a rischio, e con essa tutto il comparto legato non solo alla raccolta ma anche alla lavorazione e alla trasformazione.
Calo di produzione negli ultimi 25 anni
Su scala globale, l’Italia è il secondo esportatore di olio d’oliva, preceduta solo dalla Spagna. Tuttavia, negli ultimi 25 anni la produzione ha fatto registrare un calo costante.
«Secondo i produttori pugliesi, regione in cui si produce la metà dell’olio italiano, il cambiamento climatico è la prima causa del peggior calo nella produzione di olio d’oliva italiano negli ultimi 25 anni» spiega Greenpeace.
L’olio d’oliva è un’eccellenza italiana che andrebbe tutelata. «Secondo l’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), degli oli di qualità riconosciuti in Unione Europea, quasi il 40% è rappresentato da marchi italiani; si tratta un numero altissimo, soprattutto se consideriamo che la Spagna, il primo produttore, ha meno riconoscimenti di noi. Non dovremmo quindi pensare a tutelare un patrimonio non solo ambientale, ma anche culinario ed economico?» si chiede l’associazione.
Colpa degli eventi estremi
A provocare il crollo della produzione di olio d’oliva sono stati gli eventi meteorologici estremi, che hanno causato l’alternarsi di lunghi periodi siccitosi a precipitazioni oltre la media.
Il 2018 è stata una delle annate peggiori per l’olio d’oliva nel nostro Paese e la produzione è calata del 57%. «Parliamo, quindi, di una produzione dimezzata, contro il calo del 20% del Portogallo o il 42% della Grecia – conclude Greenpeace –. Una filiera messa a dura prova, dunque, non solo dalla Xylella e dall’eccessivo uso di pesticidi, ma soprattutto da quegli effetti del riscaldamento globale che siamo – erroneamente – portati a definire “maltempo”, vale a dire gelate alternate a lunghi e drammatici episodi di siccità».
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