Prendo posto nella fila centrale lato corridoio del volo che da Milano mi porterà a New York. Dall’altro lato del passaggio si siede una signora non propriamente giovanissima, che commenta con l’amica (che scoprirò successivamente essere la cugina) il suo dispiacere per non poter essere vicine. Al suo lato si siedono una signora sulla quarantina e il marito che occupa il posto finestrino.
Le due signore iniziano immediatamente a chiacchierare come si conoscessero da sempre. Per via della vicinanza non mi è possibile estraniarmi dai loro discorsi. La signora si chiama Gabriella, l’altra Elena. Gabriella ha 81 anni ed è la prima volta che prende un volo intercontinentale. Anche per Elena si tratta della prima esperienza a lungo raggio.
La conversazione tra le due prosegue fino al momento del decollo, quando entrambe confessano di essere molto emozionate e di aver paura. Poi Gabriella chiede a Elena se può tenerle la mano, così Elena le afferra entrambe le mani e le stringe tra le sue. Poi Gabriella esprime apertamente la sua voglia di piangere, un po’ per paura e un po’ per l’emozione, mentre Elena ha già gli occhi lucidi. Poi scoppiano entrambe in un pianto liberatorio mentre i motori diventano assordanti e il 747 si stacca da terra.
Col passare dei minuti cala la tensione e le due, ormai conclamate amiche, iniziano a parlare dei loro programmi a New York. Trascorse un paio d’ore Gabriella vorrebbe andare in bagno, ma non sa dove si trovi ed è un po’ preoccupata per gli scossoni che di tanto in tanto trasmette il velivolo. Elena le risponde che i servizi più vicini dovrebbe trovarsi poco più avanti lungo il corridoio.
Mi rivolgo quindi a Gabriella offrendomi di accompagnarla. Lei fa una battuta sulla mia galanteria, sulla sua età e poi accetta il “passaggio”. Tornati ai
nostri posti iniziamo anche noi a chiacchierare. Gabriella mi racconta che sta andando a New York spinta dal figlio che, con un innocente inganno, le ha voluto regalare il viaggio alla città che da sempre vorrebbe visitare. Dice, ridendo, che alla sua età non si dovrebbero fare quelle cose, soprattutto se non si è abituati a volare.
Non è sola, insieme a lei c’è la cugina Anna che purtroppo si trova qualche fila dietro. La nostra conversazione dura diverse decine di minuti, mentre intanto Elena si addormenta con la testa sulla spalla del marito che sembra imbalsamato con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Poi all’improvviso si spengono le luci e tutti prendono sonno. Prima dell’atterraggio scopro che Gabriella abita a pochi chilometri da casa mia, così ci scambiamo i numeri di telefono e ci ripromettiamo di sentirci al rientro per condividere la nostra esperienza nella “Grande Mela”.
Non posso certo definire New York come il mio habitat naturale, da sempre preferisco i grandi spazi dei deserti e i giochi di ombre e luci delle foreste impenetrabili, ma la sua unicità assoluta mi fa scoprire una dimensione che non appartiene semplicemente quella delle metropoli.
Nonostante la massa di persone che occupa ogni angolo delle strade, mi sento molto più isolato rispetto a quando, durante i miei soliti viaggi, non incontro gente per giorni. Sentirmi solo non rappresenta per me una condizione negativa. In questo caso si è trattato inoltre di una scelta specifica che mi pone come spettatore assoluto di tutto ciò che accade intorno a me. Solo così sento di poter documentare la realtà con sguardo puramente critico.
Nel mio programma non può mancare la consueta visita serale a una delle tante terrazze poste sulla cima dei grattacieli, da dove si può ammirare uno dei panorami più famosi del mondo.
A distanza di qualche mese dal mio rientro in Italia ripenso a Gabriella guardando le foto scattate negli USA. La chiamo e lei mi invita a casa sua per una tazza di latte e qualche quadretto di cioccolata amara (in aereo avevo confessato le mie golosità). Non è stata l’unica volta che ci siamo sentiti e poi visti. Paradossalmente quasi mai abbiamo parlato del viaggio a New York.
La mia curiosità mi ha portato a scoprire la sua storia. È la storia di una donna nata poco prima che iniziasse la Seconda Guerra Mondiale alla quale è sopravvissuta per miracolo, come tutti coloro che hanno successivamente avuto la possibilità di raccontare dei bombardamenti nelle città e dei palazzi crollati a pochi metri da casa loro. Ma quella del Quaranta/Quarantacinque non è stata la sua unica guerra.
Gabriella è una guerriera da sempre, ma lei non lo sa. Ha combattuto tutta la vita senza mai rendersene conto, spinta semplicemente dall’istinto. La sua tempra eccezionale le ha permesso di superare da sola ogni ostacolo senza mai esitare, senza farsi troppe domande, accettando ogni sfida del destino. Racconta le sue storie e le sue vicissitudini senza lamentarsi, senza imprecare e con tale naturalezza da renderle quasi scontate; situazioni di fronte alle quali le nostre fragili generazioni si sentirebbero totalmente perse. Si potrebbe scrivere un libro sulle storie di Gabriella e magari qualcuno un giorno la farà.
La sua ultima battaglia l’ha vinta a inizio aprile 2021, contro quella che verrà ricordata come “la prima peste del Secondo Millennio”. All’età di 85 anni (quasi 86) ha infatti subìto l’attacco del nemico invisibile, il Covid-19, che ha puntato spietatamente dove ha trovato maggiore fragilità. Gabriella ha rischiato più di quanto lei stessa possa immaginare, ma ancora una volta ha vinto. I suoi amici e parenti dicono che è stato grazie alla volontà di veder crescere le due nipoti che costantemente la videochiamavano e tifavano per lei mentre era ricoverata.
Oggi, a soli due giorni dalle dimissioni, l’unico segno della sua ultima battaglia è un leggero indolenzimento alla gamba sinistra che la infastidisce se cammina più di un’ora. Dice che presto riprenderà anche a guidare la sua nuova, piccola e amata vettura con la quale ha già collezionato un discreto numero di multe per eccesso di velocità.
Ogni volta che guardo questa foto penso a Gabriella. La immagino mentre cammina senza sosta tra i grattacieli di New York, come un Highlander in incognita, armata di quella determinazione e tenacità che nasconde da sempre al mondo e a sé stessa.
Il momento dello scatto
Il panorama notturno ripreso da una delle tante terrazze che si trovano in cima ai grattacieli di New York è certamente un classico della fotografia. Optai per un obiettivo fish-eye per donare all’immagine un innaturale effetto di rotondità (decisamente poco apprezzato per i puristi della foto di architettura) perché volevo che ricordasse la forma di una “grande mela”.
Il cavalletto risultò inutile, in quanto le vetrate di sicurezza erano troppo alte. Approfittando la mia generosa statura e impostando la visualizzazione live della D300, sollevai la macchina fotografica oltre le vetrate e realizzai diversi scatti. Fu necessario impostare una sensibilità elevata per ottenere parametri che scongiurassero l’effetto mosso. Le focali corte offrono grande profondità di campo anche con aperture generose del diaframma, permettendo quindi di lasciar entrare più luce, aumentando così la velocità di scatto dell’otturatore.
Dati tecnici
- Data: 11/10/2016
- Corpo macchina: Nikon D7100
- Obiettivo: Nikkor 10,5 fish eye
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 10,5 mm
- Apertura diaframma: F 4
- Tempo otturatore: 1/5 sec.
- Compensazione esposizione: 0
- Sensibilità sensore: ISO 1800
- Modo di ripresa: M (manuale)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze:
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