Gli indiani del Nord America, i discendenti delle tribù native del continente, si stanno radunando a migliaia nei pressi della Riserva indiana di Standing Rock per sostenere una pacifica protesta contro la realizzazione del gigantesco oleodotto Dakota Access, che minaccia di profanare la tomba di Toro Seduto. Si tratta del più grande raduno di popolazioni native della storia moderna.
Quello che sta accadendo oggi ai margini della Riserva Sioux va oltre la difesa del suolo, dell’ambiente e delle tradizioni: è la nascita di un grande movimento spirituale.
I Sioux ricordano l’antica profezia secondo la quale “un grande serpente nero avrebbe minacciato la Madre Terra”.
Gli indiani di Standing Rock sono stati raggiunti e sostenuti dai nativi americani arrivati da ogni angolo del continente, dalla Florida alle Hawaii. Non solo: moltissimi bianchi si sono alleati alla protesta in nome della difesa dell’anima dei popoli. Tra questi “Lo Spirito del Pianeta”, l’organizzazione italiana che promuove e realizza progetti in difesa dei popoli tribali, della loro cultura e dell’ambiente in cui vivono.
La testimonianza di un italiano tra le tribù indiane
Da Standing Rock Ivano Carcano – che ha costituito “L’assemblea dei popoli indigeni”, una voce che unisce centinaia di popoli indigeni del pianeta – ci racconta la straordinaria sequenza degli eventi che stanno scrivendo una pagina drammatica, ma allo stesso tempo ricca di nuove speranze, per tutti i popoli:
“Eccoci tornati con i Sioux; missione difficile, freddo, un vento fortissimo, comunque eccoci qui.
Ora comprendo il significato di grandi praterie, centinaia di chilometri e chilometri di erba su cui pascolano migliaia di capi di bestiame, in qualche caso anche di bisonti.
Ogni tanto il terreno prende forma di una collina, ma nulla più fino alle Black Hills, le famose montagne sacre dei Sioux.
Ecco di fronte a noi l’oleodotto, il serpente nero, così come lo descrivono le profezie, a cui stanno dando battaglia i nativi in questa epoca”.
L’oleodotto Dakota Access si estenderà per quasi 2.000 km attraversando 4 Stati e trasporterà migliaia di barili di petrolio ogni giorno. È un progetto dal costo di vari miliardi di dollari della Energy Transfer Partner ed è sostenuto dal genio militare statunitense.
Progetto che inizialmente doveva transitare più a Nord, vicino a campi da golf e centri residenziali, ma che si è preferito spostare, attraversando e calpestando la Riserva Oglala Sioux di Standing Rock.
La profanazione delle tombe
“Il nuovo tracciato dell’oleodotto andrebbe così a profanare gli antichi cimiteri nativi, tra questi anche quello dove è sepolto Toro seduto, che rappresenta la grande vittoria sulle giacche blu di Custer a Little Big Horn”, spiega Carcano.
A oggi si sono radunate in difesa delle terre native e sacre oltre 400 tribù e nazioni indigene. Ogni giorno nuovi arrivi aggiungono bandiere e voci alla pacifica protesta. Canti, danze sacre, preghiere si uniscono in questo inedito movimento di popoli. Le ultime stime dicono che sono ormai in 7.000 accampati sui terreni del Genio militare per fermare i buldozer e salvaguardare i cimiteri dei propri avi.
Non ci fu altrettanta solidarietà quando, nel 1960, i Sioux si dovettero spostare dai terreni della loro Riserva per lasciare il posto alla costruzione di una grande diga sul fiume Missouri. Gli anziani ricordano che allora la spiritualità tradizionale era indebolita, i popoli erano stremati dalla povertà e non ci fu forza e unità per opporsi.
Oggi, invece, sembra che lo spirito dei padri sia tornato…
“L’accampamento della protesta – continua il racconto di Ivano Carcano – ha lo stesso disegno di una costellazione, come quella del campo prima della battaglia con Custer e da allora mai più realizzato. Il campo è stato allestito sul confine della Riserva, in un luogo sacro per i nativi, che hanno ricevuto il supporto, sia dei nativi americani, sia di popoli più lontani, dal Perù all’Ecuador, dalla Lapponia alle Hawaii e perfino di un gruppo proveniente da Bergamo”.
Gli italiani giunti a Standing Rock rappresentano la “comunità indigena bergamasca” (come si definiscono i contadini dell’Azienda agricola della Merletta di Almè e come si definiscono gli organizzatori dello “Spirito del Pianeta festival” che si svolge a Chiuduno ogni anno).
I due organizzatori, Ivano Carcano e Susan Simayiai (Maasai del Kenya), hanno portato i messaggi di sostegno di molte popolazioni indigene del Pianeta, per non far sentire sole le tribù nord americane nella lotta alla difesa della propria identità e della Madre Terra.
“Il mondo occidentale deve capire che è giunta l’ora di rispettare ogni popolo indigeno e la Madre Terra, l’unica casa che abbiamo, il luogo dove dovranno vivere i nostri figli, persino i figli di tutte quelle persone che, accecate dal denaro, stanno distruggendo il Pianeta.
Noi quattro componenti della delegazione Bergamasca Maasai ci siamo presentati al campo con le 7 bandiere che li rappresentano: dello Spirito del Pianeta; dell’Assemblea dei popoli indigeni; la bandiera Italiana; quella del Kenya; del Comune di Almè; della Confagricoltura e di Coldiretti.
Successivamente abbiamo contribuito al campo con l’acquisto di derrate alimentari e, da bravi italiani, la domenica abbiamo preparato 800 porzioni di pasta e carne per una delle 3 cucine da campo presenti.
Un lavoro difficile, tra freddo, vento fortissimo che spostava le tende e le fiamme del fuoco a legna; ma il nostro lavoro è stato ripagato dai sorrisi, dagli abbracci e dai ringraziamenti ricevuti dai nativi, che si sono voluti avvicinare a noi abbracciandoci con le lacrime agli occhi.
Alcuni anziani ci invitavano alla loro capanna del sudore (il rito di purificazione dei nativi americani); altri ci hanno portato sulla propria terra per pregare uniti”.
La nostra voce è quella della Madre Terra
Contro la costruzione del gigantesco oleodotto che profana le tombe degli avi e minaccia l’ecosistema del fiume Missouri, per la prima volta tutte le tribù dei nativi americane si sono unite per essere un’unica voce.
“Noi parliamo anche a nome dei nostri fratelli a quattro zampe che non hanno parola. Per tutti gli animali che vivono lungo le sponde del fiume Missouri” dice Douglas James, il 64enne rappresentante della Nazione Lummi proveniente dallo Stato di Washington. “La nostra voce è quella della Madre Terra”.
L’inverno è arrivato, e ora si sta preparando un nuovo campo all’interno della Riserva, con alcuni moduli con stufe, per cucinare e per dormire, accerchiati da circa un centinaio di Tepee (tende tradizionali), per difendersi un poco dal vento.
Da Standing Rock, l’italiano Ivano Carcano – in rappresentanza de “L’assemblea dei popoli indigeni” – riprende il suo racconto dello storico e imponente raduno di protesta dei nativi:
“Qui le temperature durante l’inverno arrivano fino a -40 °C: pensare che i nostri fratelli saranno comunque lì a difendere terra di tutti noi ci rattrista molto.
Il nostro amico Apache ci ha voluto portare sulle montagne sacre dei Sioux per pregare il creatore e gli antenati, affinché si possa vincere pacificamente questa guerra per la difesa della Madre Terra, come urlano negli slogan ‘L’acqua è vita’ e non si può inquinare per nessun motivo con il petrolio. Pensate che qui verrebbe messo a rischio il Missouri, che è il secondo fiume del Nord America.
Mentre eravamo al campo, la società texana che ha progettato l’oleodotto ha pensato bene di acquistare il terreno che ospita il grande campo della protesta per 20 milioni di dollari, sicuramente con il fine di poter richiedere a giorni lo sfratto dei protestanti. Altri due campi sono proprio a ridosso della linea dell’oleodotto e qui, ogni tanto, i giovani discendenti dei guerrieri Sioux s’incatenano alle scavatrici. Qui 20 giorni fa, le guardie private della società hanno aizzato i cani contro i manifestanti provocando molti feriti.
Speriamo che molte persone in questo pianeta si accorgano del loro sacrificio e li possano supportare in ogni forma. Forza fratelli!”
Con questa frase si conclude la toccante testimonianza di Ivano Carcano da Standing Rock.
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