La storia dell’umanità inizia con i piedi, scrisse André Leroi-Gourhan, antropologo francese tra i padri della preistoria. Da quando hanno assunto una posizione eretta, gli uomini camminano e si spostano. Per irrequietezza, o per conoscere nuovi orizzonti, ma anche perché spesso stare nella propria terra non si può. La fame o la guerra non lo consentono, e allora si parte.
Oggi noi occidentali camminiamo – quando ci ricordiamo di farlo – per svago. Ma c’è una larga parte di umanità che si mette ancora in cammino per necessità, per sopravvivere. Forse è questa una delle ragioni per cui il gesto di camminare ha conservato significati arcani, che ci mettono a nudo e ci ricordano l’umiltà, la fragilità e anche la bellezza della nostra condizione di umani.
Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando il geologo Paul Abell, sull’altopiano di Eyasi, in Tanzania, cadendo per terra mentre camminava – quando si dice il caso! – scorse trentanove orme di piedi nudi, una striscia di passi lunga ventisette metri lasciata da ominidi che possedevano un’andatura perfettamente eretta. G1 e G2, questi i nomi dati ai due piccoli australopitechi, sono la prova che oltre tre milioni e mezzo di anni fa i nostri antenati già camminavano.
Se la storia dell’umanità ha inizio con gli ominidi che si alzano in piedi nella Rift Valley, il camminare come gesto culturale consapevole ha memoria più breve. Ma nemmeno tanto. Nel Tempo del Sogno gli aborigeni australiani percorsero in lungo e in largo le loro terre cantando il nome di ogni cosa in cui si imbattevano – uccelli, animali, piante, rocce – e col loro canto fecero esistere il mondo. Le Vie dei Canti fondono il camminare con il paesaggio, la parola con il mito della creazione.
A ben pensarci anche il pensiero filosofico occidentale nacque in cammino. I sapienti greci dialogavano passeggiando. Lo stesso Aristotele discuteva camminando sotto i portici dell’Accademia di Atene, fondata anni prima da Platone.
“Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo, non penso più” scrisse Jean-Jacques Rousseau nelle sue Confessioni. Per un bizzarro destino, il filosofo svizzero se ne andò al termine di una camminata mattutina nei boschi di Ermenonville, uno dei luoghi che più aveva amato.
Oggigiorno non c’è più voglia di camminare. È pur vero che un movimento sincero, composto di nuovi pellegrini, escursionisti e viaggiatori, fa parlare di sé, ma siamo al folclore o poco più. In un mondo dominato dalla velocità, perdere tempo a camminare appare come un atto anacronistico alla gran parte degli uomini. E la perdita di tempo, ai giorni nostri, è reputata intollerabile al pari del silenzio. Se dunque desiderate contrapporvi al potente imperativo della fretta, il gesto più energico e rivoluzionario che potete compiere è camminare. Per pensare, apprendere la vita, conoscere le cose, ribellarsi all’ovvietà dominante, sanare le ferite del giorno prima.
Puntata precedente: Walk around and get lost
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com