I boschi che conosciamo, almeno in Italia e in Europa, non sono più da millenni primigeni elementi naturali, ma piuttosto l’esito di una mutua interazione tra l’uomo e l’ambiente.
Forse con questo presupposto il Consiglio dei ministri ha appena dato il via libera al Testo Unico sulle foreste e sulle filiere forestali. Obiettivo dichiarato del provvedimento è far fronte alle urgenti necessità di tutela e gestione attiva del territorio italiano, contrastando l’abbandono colturale e il declino demografico nelle aree montane e rurali del Paese, nonché garantire lo sviluppo di nuove ‘economie verdi’ e la crescita occupazionale nelle aree interne.
Tutto bene, quindi. O no?
Coldiretti ha già stimato che potrebbero nascere fino a 35 mila nuovi posti di lavoro da una migliore gestione dei boschi, che oggi coprono una superficie record di 10,9 milioni di ettari, raddoppiata rispetto all’Unità d’Italia, quando era pari ad appena 5,6 milioni di ettari.
I boschi in Italia sono in crescita da decenni. Chiunque frequenti le Alpi o gli Appennini se ne può rendere conto facilmente. Dove un tempo c’erano pascoli e orti, oggi c’è la foresta, che anno dopo anno si riprende il suo spazio fino a incombere sui piccoli villaggi.
A Tempo di Libri, kermesse letteraria andata in scena dall’8 al 12 marzo scorso a Fiera Milano City, un inspirato Paolo Cognetti, Premio Strega 2017 con il romanzo “Le otto montagne”, si è soffermato sull’uso delle foreste. Come un novello Thoreau si è domandato e ci ha domandato: perché nella visione antropocentrica l’avanzata del bosco è vista solo come un problema?
Già, perché in fondo al bosco poco importa delle nostre case, delle nostre strade e dei nostri campi abbandonati.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com