“Sono una combattente per i diritti umani e non mi fermerò”
Una vita dedicata alla lotta in difesa dell’ambiente e degli indigeni, una morte violenta giunta nel sonno per mano di chi odia il Pianeta e i popoli che ci vivono. I killer non hanno avuto neppure il coraggio di affrontarla a viso aperto. Berta Caceres è stata uccisa all’1 di notte di giovedì nella sua casa a La Esperanza, in Honduras.
Lo scorso anno aveva ricevuto il massimo riconoscimento mondiale per le lotte ambientaliste, il Goldman Environmental Prize.
L’ultima battaglia di Berta Caceres era contro il progetto delle quattro gigantesche dighe in sequenza ad Agua Zarca, nel bacino del fiume Gualcarque: l’opera metterà a repentaglio l’approvvigionamento di acqua, alimenti e medicine di centinaia di indigeni, ignorando il loro diritto a una gestione sostenibile del territorio.
Nel ricevere il Goldman Environmental Prize, Berta Caceres aveva dichiarato: “Viviamo in un paese nel quale il 30% del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria, dove sono stati lanciati progetti aberranti, in un’ottica neoliberale secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità”.
Cordoglio e indignazione
Il suo assassinio ha sollevato l’indignazione internazionale contro la violenta repressione di cui sono vittime gli attivisti per i diritti umani in Honduras e un’ondata di apprezzamenti e riconoscimenti per la sua battaglia in difesa della Natura.
Cofondatrice del Copinh (Council of Indigenous Peoples of Honduras), Caceres apparteneva alla popolazione indigena dei Lenca, il gruppo più numeroso dell’Honduras.
Con la sua campagna di sensibilizzazione, Caceres era riuscita a far sospendere l’avanzamento dell’opera, un progetto dell’impresa locale DESA appoggiata e finanziata da compagnie internazionali di ingegneria e investimenti. La sua ferma opposizione, inoltre, aveva innescato il ritiro dal progetto sia della cinese Sinohydro sia del ramo privato della World Bank, l’International Finance Corporation.
Caceres aveva lanciato un appello agli altri partner dell’opera, la Dutch Development Bank, il Finnish Fund for Industrial Cooperation e le aziende tedesche Siemens e Voith, perché abbandonassero anche loro il devastante progetto.
Tanto coraggio per far sentire la voce dei più deboli e della Natura in un Paese dove spadroneggiano potenti proprietari terrieri, una feroce polizia finanziata dagli Usa e un esercito di guardie private alla difesa degli interessi delle multinazionali in uno dei luoghi al mondo più pericolosi per gli attivisti ambientalisti.
“Dobbiamo lottare in ogni parte del mondo, ovunque siamo, perché non abbiamo un pianeta di ricambio o di riserva. Abbiamo solo questo e dobbiamo agire” aveva dichiarato Caceres.
Responsabilità evidenti
Per questo suo impegno sociale ed ecologista, Berta Caceres era stata minacciata di morte ma, nonostante le assicurazioni delle autorità honduregne, non c’era nessuno a proteggerla al momento dell’irruzione.
L’84enne madre di Berta ha accusato il Governo dell’Honduras: “Non ho alcun dubbio che sia stata uccisa per il suo impegno contro la costruzione della diga e ritengo responsabile il Governo”.
I segnali di pericolo erano andati crescendo nelle ultime settimane: dopo la marcia di
Río Blanco organizzata da Copinh il 20 febbraio scorso, Caceres e altri attivisti erano stati affrontati dall’esercito, dalla polizia, dalle autorità locali e dai rappresentanti delle imprese costruttrici della diga. Circolava, ed era fatta circolare a scopo intimidatorio, la notizia che erano stati già assoldati i killer per assassinarla. Gli stessi che hanno agito giovedì mattina?
In Honduras dal 2010 al 2014 sono stati uccisi 101 attivisti (secondo la ricerca della ONG Global Witness). La maggior parte di questi erano indigeni che si opponevano a progetti di sviluppo con espropi di fattorie sul loro territorio.
La Rappresentante Speciale dell’ONU per i Diritti degli Indigeni,Victoria Tauli-Corpuz, che aveva incontrato Berta Caceres lo scorso novembre, si è detta “sconvolta e inorridita” dalla notizia. “Il crimine rivela l’altissimo livello di impunità che c’è in Honduras. Risulta evidente la tendenza all’omicidio degli attivisti per i diritti umani e degli indigeni” ha concluso Tauli-Corpuz, il cui rapporto sul Paese centroamericano verrà pubblicato fra qualche mese.
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