È nella “natura” umana accusare la natura di crimini. Negando più o meno consapevolmente ogni sua responsabilità, l’uomo maledice i fiumi in piena che sommergono le case costruite dove non si sarebbe dovuto o la frana che uccide perché non c’è più la foresta a proteggere la vallata.
Allo stesso modo impreca contro le piante che si schiantano al suolo quando soffia un forte vento. Vengono chiamati alberi killer. Ignorando gli innumerevoli benefici che ciascuno di essi ha offerto gratuitamente per decenni: decoro e bellezza, ombra, assorbimento di sostanze inquinanti, mitigazione del clima e via discorrendo.
Tra gli episodi più recenti si annoverano quelli di fine di febbraio, quando una tempesta ha sradicato molti alberi nel Lazio. Solo a Roma ne sono caduti circa trecento. Perché accade questo? Le ragioni sono molteplici.
Investono, per esempio, la professionalità con cui viene esercitata la manutenzione. Molti dei filari urbani a noi familiari risalgono gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. In condizioni naturali questi alberi avrebbero di fronte a sé ancora molti anni di vita, ma sono stati indeboliti dalle condizioni di stress in cui sono stati costretti a crescere: inquinamento, assedio delle automobili, cattive potature. Ora è necessario metterli in sicurezza, fornendo le cure necessarie dov’è ancora possibile oppure procedendo alla sostituzione nei casi più compromessi.
Un’altra questione delicata riguarda il modo in cui sono state messe a dimora le piante: spesso non ci si è curati di scegliere le varietà più adatte al clima, al terreno, alla posizione e neppure esemplari di dimensioni adeguate.
Infine è sempre più preoccupante anche il tema della difesa fitosanitaria. La rapida diffusione di tanti patogeni provenienti da diverse parti del mondo e troppo spesso non affrontati con la necessaria determinazione ha sviluppato conseguenze catastrofiche.
Se teniamo conto di tutti questi aspetti è facile comprendere che i veri killer siamo noi.
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