È notizia di questi giorni che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha bocciato una risoluzione che prevedeva l’attuazione immediata del cessate il fuoco e lo stop ai bombardamenti aerei sulla città siriana di Aleppo.
Aleppo è oggi il fronte più acceso del conflitto siriano e mediorientale. La città è, infatti, divisa in diverse aree di controllo: da una parte il regime siriano tenta di avanzare, appoggiato dall’aviazione russa, dalle truppe dei suoi alleati iraniani e dagli Hezbollah libanesi; dall’altra i ribelli anti governativi, tra cui diversi gruppi jihadisti, tentano di mantenere le proprie posizioni. Alcuni quartieri della città sono, invece, controllati dai soldati curdi, che sperano di poter utilizzare i territori in questione per fondare in futuro un proprio Stato nazionale.
In mezzo a questo conflitto ci sono decine di migliaia di persone che muoiono ogni giorno sotto il fuoco di entrambe le parti. Se le efferatezze dei ribelli anti-Assad sono ormai cosa nota, i bombardamenti a tappeto perpetrati da russi e siriani stanno radendo al suolo i quartieri nemici e generando regolarmente migliaia di morti civili.
Fuga verso il mare
L’esito è inevitabile: migliaia di profughi stanno fuggendo da quei territori per riversarsi lungo le coste mediterranee della Siria e del Libano, da dove sognano di partire per l’Europa. Andando sul territorio e parlando con molti di loro ho potuto constatare che la maggior parte non fugge in realtà dai terroristi, bensì dalle bombe delle truppe governative. E non sono pochi coloro che per difendersi dai bombardamenti a tappeto sono stati incentivati a chiedere protezione ai ribelli e ai terroristi. Chi si trova sulle coste del Mediterraneo ed è pronto a salpare per l’Europa vede spesso in Assad il primo nemico. Un fatto, questo, con cui noi europei dobbiamo e dovremo fare i conti e che rende la risoluzione della crisi siriana un fatto riguardante direttamente la nostra sicurezza e il nostro equilibrio interno.
Emergenza spazzatura
Al contempo le coste siriane e libanesi che si affacciano sul Mediterraneo non erano pronte ad affrontare l’arrivo di flussi di persone così consistenti. La maggior parte dei nuovi arrivati vive oggi in campi profughi spesso al di fuori del controllo delle autorità locali e in stato di totale abbandono. Una delle conseguenze più disastrose di tutto ciò è l’emergenza spazzatura: in assenza di un sistema di smaltimento dei rifiuti e di educazione civica da parte di molti le coste del Mediterraneo orientale si stanno ricoprendo di tonnellate di rifiuti. Intere zone costiere del Libano sono state dichiarate non-balneabili, mentre si moltiplicano i casi di morti per malnutrizione, che riguardano soprattutto i bambini, vittime di cibi inquinati da un ambiente che la guerra e le dinamiche geopolitiche del Mediterraneo stanno distruggendo.
Quando pensiamo alla guerra in Siria abbiamo spesso la sensazione che sia un fatto lontano che non ci riguarda. Eppure è ad essa che dobbiamo l’inquinamento del Mare Nostrum, quello stesso Mediterraneo sul quale l’Italia si affaccia e che pensiamo ci tenga lontano dalla distruzione dei suoi popoli e dell’ambiente in cui vivono. Tempo fa sono andato a pesca insieme a un bambino palestinese sulla spiaggia di Tiro, nel sud del Libano. Era molto contento perché, dopo giorni che tirava su rifiuti, era riuscito finalmente a pescare un polpo, cioè qualcosa di commestibile. L’ultima volta che ne aveva pescato uno era insieme al suo fratello maggiore. Che da quella stessa spiaggia è salito su una barca di fortuna e insieme a diverse altre persone ha raggiunto le coste siciliane.
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