È stato progettato per socializzare, per diventare amico dei pazienti, di persone anziane e fragili in particolare. ARI è un robot, anzi un umanoide sociale frutto della ricerca sull’intelligenza artificiale, che verrà usato in ambito sanitario e di assistenza.
ARI muove braccia, mani e occhi e sa parlare. Il prossimo step dell’umanoide sarà quello di dotarsi di espressività e linguaggio il più possibile naturali, per interagire ancora meglio con le persone.
Il gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione dell’Università di Trento, nell’ambito del progetto europeo SPRING (Socially Pertinent Robots in Gerontological Healthcare), dovranno valutare quanto ARI riuscirà a farsi accettare da pazienti, anziani e personale sanitario nel lavoro di accoglienza e supporto in ospedali e RSA.
ARI è alto quasi quanto una persona e deve affrontare una sfida non scontata, perché dovrà svolgere compiti di servizio, guida e informazione alle persone. Prodotto dall’azienda PAL Robotics di Barcellona, l’umanoide ARI è sbarcato in questi giorni al polo Ferrari di Povo, al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (Disi) dell’Università di Trento, dove verrà programmato per svolgere principalmente mansioni di assistenza agli anziani.
Ma come verrà accolto?
ARI saprà farsi accettare dagli anziani che dovrà aiutare? Una prima risposta potrà arrivare dagli esiti dello studio in corso sulla sua capacità di interazione. Il progetto europeo SPRING, di cui la professoressa Elisa Ricci del Disi è la referente per l’unità di Trento, punta proprio sui “robot sociali” per dare una mano in contesti sanitari e di assistenza. Questi robot, come ARI, sono programmati per sviluppare capacità avanzate di dialogo e di analisi di dati multi-modali, come audio e video, e per essere utilizzabili devono essere in grado di interagire in modo quanto più naturale possibile con più persone simultaneamente.
Le premesse sono incoraggianti: ARI combina l’espressività dei gesti delle braccia e mani, i movimenti della testa, le animazioni degli occhi e dei led insieme alle funzionalità di sintesi e riconoscimento vocale. I suoi punti di forza sono l’ampia dotazione tecnologica e la capacità di sviluppare l’apprendimento automatico.
Negli ultimi anni i robot sociali sono stati introdotti con successo in numerosi luoghi pubblici – come musei, aeroporti, centri commerciali, istituti bancari – ma il loro utilizzo potrà essere prezioso anche in ospedali e residenze di assistenza. In questi ambienti, però, oltre alla capacità di muoversi, afferrare e manipolare oggetti, devono essere in grado anche di comunicare in modo naturale con le persone.
Come spiega la professoressa Elisa Ricci: « Lo programmiamo perché possa avere capacità di linguaggio sofisticate, il più possibile naturali, che gli consentano di interagire al meglio con pazienti e persone anziane. Il nostro progetto punta a capire se il robot potrà essere accettato dai pazienti: una sfida che richiede competenze interdisciplinari, come la psicologia e le scienze cognitive, che vanno oltre le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ICT».
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