L’orgia di acquisti del mese che parte dal Black Friday e finisce a Natale rappresenta sicuramente una boccata d’ossigeno per l’economia, ma è anche un duro colpo per l’ecosistema. Se pensate che in questo breve periodo negli Stati Uniti, per esempio, si effettua il 70% degli acquisti di beni di consumo dell’anno, potete immaginare il picco di imballaggi (carta, cartone, plastica e polistirolo) che va a impattare sulla filiera dello smaltimento rifiuti.
Secondo le statistiche elaborate nello scorso marzo da Eurostat, nel 2014 ciascun abitante dell’Unione Europea ha prodotto 162.9 kg di rifiuti di imballaggi. Questa è la media: il picco è stato in Germania, con 220 kg per abitante, cartina di tornasole di come la quantità di questo genere di rifiuti sia direttamente proporzionale alla “ricchezza economica” del cittadino.
La tipologia di rifiuti è in ordine decrescente: carta, cartone, vetro, plastica, legno, metallo.
In particolare la plastica, risorsa non rinnovabile che viene ampiamente usata per il packaging, per la lunga durata nel tempo dei polimeri che la compongono si accumula nelle discariche e negli oceani.
Italia “virtuosa”
Abituati a comparire sempre verso il fondo di tutte le classifiche internazionali (dalla corruzione all’occupazione giovanile…), fa piacere scoprire che nell’ambito del riciclo degli imballaggi l’Italia si pone al vertice in Europa (seconda dopo la Germania e davanti all’Irlanda) con 128,7 kg di imballaggi riciclati su 196,8 prodotti per abitante.
Efficace e lodevole, in questo caso, il ruolo svolto dai vari consorzi (Ricrea, Cial, Conai, Corepla, Comieco…) che garantiscono la gestione di filiera di particolari tipologie di rifiuti, indirizzandoli al recupero e il riciclo e non più alla discarica. Il finanziamento per il funzionamento di questi Consorzi arriva dai contributi dei soggetti economici interessati e dalle attività di recupero svolte. Centrale e controverso il tema della fiscalità sulla filiera dei rifiuti e degli imballaggi, con tutte le ben note difficoltà nel fare pagare le tasse alle multinazionali “over the top” del commercio online.
Commercio digitale
Anche lo shopping online – comodo, più economico e utilizzato da tutti noi – non è neutro per l’ambiente. Pensate solo a questo esempio: uno scatolone con 40 libri che arriva in una libreria fisica si moltiplica, nel caso dello shopping online, in un rivolo di 40 scatole che si diffondono sul territorio… Non solo. In molti casi si verifica l’effetto “bambole russe”: un bene già impacchettato nella sua confezione viene inserito in un’altra scatola, con imbottitura di millebolle di plastica o polistirolo, per la spedizione al cliente finale.
Le soluzioni
Poiché sembra impensabile modificare le abitudini di acquisto dei consumatori e il trend delle aziende commerciali, la soluzione va cercata in una serie di obblighi e incentivi – analogamente a quanto si tenta di fare nel settore dell’automotive – verso materiali di imballaggio biodegradabili e di origine vegetale, come le schiume espanse generate non dal petrolio, ma da scarti vegetali. Il loro costo è, al momento, superiore a quello dei prodotti analoghi derivati dal petrolio, ma alternative praticabili al momento non se ne intravvedono.
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