È ormai chiaro che i cambiamenti ambientali, frutto del noto innalzamento delle temperature che viviamo e che insisteranno sul nostro pianeta in futuro in modo sempre più frequente e duraturo, facilitano e faciliteranno la diffusione di specie “aliene” lungo le nostre coste. Meno sappiamo del fatto che questo fenomeno sarà ancor più visibile laddove l’impronta dell’uomo e delle attività ad esso correlate (traffico nautico ed ampliamento delle rotte di grandi imbarcazioni in grado di collegare continenti diversi, creazione di impianti di acquacultura, posizionamento di barriere artificiali, apertura di canali tra i mari) saranno maggiormente presenti.
Un’analisi di multiple stressor, ovvero fattori di disturbo multiplo – innalzamento di temperatura, cambiamenti di salinità e clorofilla – sommati alla presenza di veri e propri corridoi creati dall’uomo come il Canale di Suez, ha permesso di osservare l’insediamento e la diffusione del bivalve alieno Brachidontes pharaonis.
Il processo di diffusione in atto sin dall’apertura del primo Canale di Suez è stato e verrà certamente facilitato in futuro dal sommarsi (si parla in questi casi di “effetto sinergico”) di condizioni ambientali favorevoli per questa specie, definita come una delle 100 più invasive in Mediterraneo.
Clima e uomo sono dunque principali responsabili di questa invasione aliena e un’attenta analisi di dati storici di presenza della specie e delle sue abitudini, integrata con un esercizio di simulazione delle condizioni ambientali in futuro, ha permesso di prevedere le prossime tappe del viaggio di questo piccolo bivalve lungo le coste del Mediterraneo.
Lo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Palermo in collaborazione con colleghi della storica Marine Biological Association of the United Kingdom, ha permesso di produrre vere e proprie mappe di rischio, studiate per chi monitorerà le coste e la loro biodiversità in futuro. La presenza e diffusione di specie aliene è in atto: analizzarne le cause per predire la velocità di diffusione, le principali rotte, i mezzi di dispersione e i punti di arrivo in futuro permetterà di orientare i futuri piani di monitoraggio di questa specie e la biodiversità ad essa associate nonché indirizzare in anticipo (“early warning”) future misure di controllo della perdita di biodiversità associate e il relativo funzionamento degli ecosistemi.
Maria Cristina Mangano, ricercatrice presso l’Università di Palermo e coautrice dello studio in oggetto.
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