Se non ci fosse la foto, inequivocabilmente di un pesce, a mettervi sulla buona strada, il nome scientifico di questa specie – Grammonus ater – farebbe venire in mente più una formula magica alla Harry Potter che il nome di un animale. Chiamato un tempo Oligopus (“dai piedi piccoli”) ater, con riferimento alle ridotte dimensioni delle sue pinne ventrali e al colore scuro del corpo, la brotula nera è un pesce per molti aspetti ancora misterioso di cui non si sa molto pur essendo piuttosto facile da riconoscere. Come possiamo notare dalla foto di Marco Colombo, che mi ha colpito per la sua nitidezza, il suo corpo, lungo mediamente una dozzina di centimetri, è piuttosto allungato e schiacciato lateralmente; la testa è grande e il muso arrotondato. Qui si notano le narici, in particolare quella anteriore che si apre all’estremità di un breve tubicino rivolto in avanti. La bocca è molto ampia, ma l’occhio è piccolo. La pinna dorsale, la caudale e l’anale sono tutte unite tra loro rendendo ancora più uniforme l’aspetto del nostro pesce. Le pinne pettorali sono grandi mentre quelle ventrali sono ridotte a un filamento biforcuto. La linea laterale è formata da due rami, ciascuna con pori spaziati tra loro con funzione sensoriale; altri bottoni sensoriali si trovano sul capo. Il colore è scuro, bruno rossiccio o violaceo uniforme, spesso tendente all’azzurro.
Ma la brotula nera nasconde altri misteri.
Colore e organi di senso (occhi piccoli, narici sviluppate, pori sulla testa e lungo la linea laterale) ci fanno intuire che ci troviamo davanti a un abitante di luoghi bui, scuri. Non è un caso se ai primi dell’Ottocento l’ittiologo Risso gli assegnò il nome ater cioè atro, un termine che di solito si riserva ai luoghi più scuri, anzi neri, come gli abissi infernali. Secondo molti studiosi, la brotula nera è un pesce d’acque profonde, ma lui non lo sa e quindi vive felice e si fa trovare all’interno di grotte anche vicino alla superficie. Condizione esclusiva è che le grotte siano buie, ma buie davvero, senza nemmeno il più pallido raggio di luce. Insomma, è un pesce speleofilo, come lo definiscono gli esperti che di solito lo rinvengono all’esterno solo nelle notti buie. Si dice, anche, che effettui delle migrazioni dai 200-700 metri di profondità – dove infatti è catturato con reti a strascico – verso acque più superficiali in agosto quando, pare, si riproduca.
Quello della riproduzione è un altro aspetto interessante della specie che è vivipara, cioè le uova fecondate si sviluppano all’interno della madre fino alla schiusa. Le femmine che sono state studiate hanno rivelato di avere un ovario diviso in due parti: una più interna con uova non fecondate, che funge da riserva di materiale riproduttivo, e una più esterna con uova contenenti embrioni. Sembra che la fecondazione avvenga mediante sacchettini contenenti spermatozoi (spermatofore) prodotti dal maschio e che la femmina poi utilizzerà nei momenti più favorevoli. Questo potrebbe anche far pensare (ma è solo un’ipotesi personale) che la fecondazione avvenga in acque profonde e che da qui le femmine risalgano verso la superficie in agosto per la riproduzione.
Nell’attesa di saperne di più, il nostro pesce continua a celarsi nelle grotte dove si comincia sospettare che sia più frequente di quanto si pensi poiché il numero delle sue segnalazioni è in aumento.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com