L’Italia, che per gli uccelli rappresenta una rotta migratoria di cruciale importanza (qui si segnalano ritrovamenti di uccelli inanellati provenienti da ogni nazione d’Europa, da trentotto Paesi africani e sei asiatici), è tra i primi Paesi dell’area mediterranea per numero di uccelli catturati o uccisi ogni anno dai bracconieri: 5,6 milioni di esemplari, calcolati per difetto.
Turismo venatorio
L’altra faccia della medaglia è rappresentata da chi ha una regolare licenza di caccia ma si sposta, lontano da casa, in altre regioni e in altri Stati.
Secondo un rapporto dell’Ufficio Traffic del WWF, i cacciatori italiani che almeno una volta all’anno vanno in trasferta sono circa 50.000. Il giro d’affari è milionario. Non sono amati e sono temuti.
Per molti anni la Turchia aveva chiuso loro le frontiere, per le troppe violazioni alle leggi in materia venatoria. Nel febbraio del 2005, per la prima volta, un tribunale ungherese di primo grado ha condannato alcuni cacciatori italiani a tre anni di reclusione per distruzione della natura: erano stati fermati, quattro anni prima, nel 2001, in possesso di 11.700 uccelli di una ventina di specie protette.
L’Italia continua a esportare malcostume venatorio grazie ad agenzie compiacenti e a insufficienti sistemi di controllo. Il turismo venatorio porta anche in Serbia, Bulgaria, Romania, Montenegro, Albania, Bosnia, Macedonia. Ed è lì che il confine tra caccia e bracconaggio diventa sempre più labile.
I più ricchi vanno in Siberia o in Egitto. Questo comportamento predatorio non è gradito, né tantomeno approvato, dai cacciatori che si attengono alle regole: queste stragi non fanno che gettare discredito su una categoria che ormai, in Italia e non solo, non gode di grandi simpatie da parte della pubblica opinione.
Episodio tratto dal libro: