Ecco una riflessione che Calvino scrive in Palomar, mentre il protagonista osserva il cielo stellato.
Questa osservazione delle stelle trasmette un sapere instabile e contraddittorio, – pensa Palomar, – tutto il contrario di quello che sapevano trarne gli antichi. Sarà perché il suo rapporto col cielo è intermittente e concitato, anziché una serena abitudine? Se lui si obbligasse a contemplare le costellazioni notte per notte e anno per anno, e a seguirne i corsi e i ricorsi lungo i curvi binari della volta oscura, forse alla fine conquisterebbe anche lui la nozione d’un tempo continuo e immutabile, separato dal tempo labile e frammentario degli accadimenti terrestri. Ma basterebbe l’attenzione alle rivoluzioni celesti a marcare in lui questa impronta? o non occorrerebbe soprattutto una rivoluzione interiore, quale egli può supporre solo in teoria, senza riuscirne a immaginare gli effetti sensibili sulle sue emozioni e sui ritmi della mente?
I. Calvino, Palomar
E non può essere anche questo uno tra gli innumerevoli fini della Natura? Suscitare in noi una rivoluzione interiore attraverso la sua contemplazione.
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