Vivessi cent’anni non dimenticherò mai il solenne mistero che avvolgeva quei labirinti naturali. L’altezza degli alberi e lo spessore dei cespugli superavano ogni mia immaginazione di povero cittadino. Sopra al nostro capo, su verso il cielo e dove il nostro sguardo giungeva appena, gli enormi tronchi vecchi di secoli stendevano smisuratamente i rami che ne ornavano la cime e che abbracciandosi ad altri rami formavano una specie di immensa volta gotica a stento attraversata da un raggio di sole, il cui splendente riflesso scendeva come una sfida nella maestosa oscurità condensata nei bassi strati. Mentre procedevamo silenziosi sul morbido tappeto di musco e di foglie, un senso di rispetto ci invadeva l’animo, simile all’emozione che si prova nella penombra dell’Abbazia di Westminster.
Arthur Conan Doyle, Il mondo perduto
Solo un racconto? Certo, frutto dell’immaginazione dell’autore. Ma l’esperienza narrata è senz’altro vivibile ed è l’augurio che ci facciamo tutti: camminare in una foresta e avere queste stupende sensazioni. Le parole di Doyle possono essere un invito a provare un senso di rispetto di fronte all’immensa meraviglia della Natura. Rispetto che, purtroppo, ancora molti devono imparare a maturare.
Sicuramente una foresta o un bosco (magari quello dietro casa) sono avvolti da un solenne mistero … e non è scritto da nessuna parte che per vivere un mistero lo si debba per forza indagare, dissacrare e analizzare al microscopio.
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