Nella macchia
Errai nell’oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra quercie rigonfie di galle;errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l’azzurra vïola;errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.Io siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d’un grido, d’un volo.Io siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.E il cantico all’ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!Giovanni Pascoli, da Myricae
All’atmosfera cupa, sola e fosca dell’animo del poeta, il quale si percepisce invisibile, privo di sostanza, si contrappone la vivacità della foresta. Con i suoi alberi e i suoi animali questo luogo salva l’uomo dal suo sentirsi abbandonato. Il canto è essenziale e una capinera non si risparmia, offrendo un appiglio fondamentale per il poeta: la Natura lo vede. Non solo, ma lo accoglie così com’è, con le sue fragilità, le sue incertezze, le sue solitudini e da qui lo riporta in piedi, coinvolgendolo nella creazione, mostrandogli che oltre le sofferenze c’è un altro approdo: tra foglie marcite / spuntava l’azzurra vïola.
Ma un primo passo, fondamentale, è stato compiuto dal poeta stesso; senza questa sua iniziativa probabilmente l’incontro con la Natura sarebbe giunto tardi, troppo tardi forse, senza escludere che magari non sarebbe avvenuto del tutto. Il poeta ha errato. Errai. Questo verbo è posto molto in evidenza, tramite l’anafora. Per tre volte si scrive che l’uomo ha camminato a lungo. Errare non significa solo spostarsi, ma intende un camminare, girovagare (fosse anche senza meta); eppure, senza questo errare, il poeta non avrebbe ritrovato se stesso.
Come scrisse Khalil Gibran, solo chi «smarrisce la propria via migliaia di volte troverà la strada di casa».
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