«Gli alberi e le acque si amano e si aiutano con fraterna vicenda: gli alberi proteggono le acque, le acque alimentano gli alberi. E quando la bella selva nei meriggi estivi sta immobile sul dorso del monte, pare che porga ascolto alla voce sommessa e dolce, come un vagito nuovo, d’un rio a cui ella diede vita; e quando i ruscelli son divenuti il fiume, questo, con la sua gran voce inestinguibile, sembra che canti le lodi dei faggi e degli abeti, amici della solitudine e della meditazione, i quali tuttavia di lassù vollero ispirare e animare tanto fremebondo lavoro al piano.
[…] L’Italia deve rivestire i suoi monti già spogliati dalla spensierata ingordigia dei possessori, se vuol da per tutto ciò che, per provvidenza, per disinteresse, per virtù dei maggiori, è qui in Val di Serchio».
Nessuno penserebbe a Giovanni Pascoli (1855-1912) come a un naturalista. Ma la sua vita e la sua poesia rendono questa ipotesi più che plausibile. Viveva a stretto contatto con la Natura e le sue parole erano sempre ispirate da un volo di passero, da un cipresso, dal verso di un uccello notturno e da un lampo improvviso.
Chi vuole conoscere un bosco sa che deve attraversarlo, rispettarlo e leggerlo per poter approfondire la sua conoscenza; allo stesso modo per un poeta. Spesso succede che le note di un libro non vengano lette, figuriamoci quelle di un opera che non si legge praticamente mai a scuola.
Eppure accade che nelle cose piccole troviamo grandi insegnamenti. Nel 1906 venne pubblicato Odi e inni e per una poesia, Al Serchio, Pascoli scrisse una nota davvero degna di essere letta, perché ci ricorda quanto siano importanti gli alberi – ponendosi contro il disboscamento selvaggio e sconsiderato – e ci ricorda come la Natura consideri fondamentali tutte le creature, le quali vivono fra loro offrendoci sempre un grande insegnamento: la reciprocità. Queste parole di Pascoli sono così dolci, forti, chiare e attuali che non richiedono ulteriori aggiunte, ma solo silenzio per farle nostre, diffonderle e metterle in pratica.
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