Per il secondo anno consecutivo la Grande Barriera Australiana si prepara a subire il fenomeno del coral bleaching, ovvero lo sbiancamento dei coralli che interessa ormai i due terzi di questo ecosistema unico, esponendolo a un altissimo rischio. «Quest’anno stiamo assistendo al fenomeno senza che questo sia collegato a El Niño – ha spiegato alla BBC il professore della James Cook University Terry Hughes –. In passato, si era sempre creduto che i due eventi fossero correlati tra loro».
Secondo i ricercatori, la zona maggiormente interessata dal fenomeno è quella dei reef al largo dello stato del Queensland, nell’Australia nordorientale. Qui i biologi marini stimano che siano andati danneggiati circa i due terzi dei coralli.
Cos’è il coral bleaching
Ma a cosa è dovuto lo sbiancamento dei coralli? La causa è essenzialmente da imputare all’innalzamento della temperatura dei mari. I picchi di calore causano forte stress nella barriera e questo provoca l’espulsione delle alghe unicellulari Zooxanthella, che vivono in simbiosi con i coralli assicurando loro nutrimento e conferendo ad essi la particolare colorazione. Questo fatto espone i coralli a una condizione di estrema vulnerabilità che se perdura nel tempo li conduce alla morte. Nel caso, invece, lo stress sia di breve durata, la barriera è in grado di rigenerarsi e le concentrazioni di Zooxanthella tornare ai livelli normali, ma si tratta comunque di processi estremamente lunghi.
I precedenti
Secondo i ricercatori, negli ultimi diciannove anni sono stati documentati tre casi di coral bleaching in quell’area: 1998, 2002, 2016. Le temperature record registrate nel 2016 hanno causato un innalzamento temporaneo di 4 °C nel mare portando allo sbiancamento il 90% dei coralli e alla morte il 20% di essi. E ora, senza che la barriera abbia avuto tempo di riprendersi, ci si prepara ad affrontare la potenziale numero 4. «Questo aggrava ancora di più la situazione, perché i coralli sono già deboli e provati – ha aggiunto il professor Huges -. È bene ricordare che gli oceani assorbono il 93% del calore terrestre e se le temperature aumentano in maniera incontrollata i primi a farne le spese sono proprio gli ecosistemi marini. Ci troviamo di fronte a un punto di non ritorno: serve un cambio di rotta nelle politiche energetiche globali».
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