Abbiamo incontrato (via internet, con un fitto scambio di email) il Capitano David Williams, fondatore e attuale Presidente della più antica associazione al mondo per la difesa dei cetacei, l’americana Deafwhale Society. Una piccola associazione forse meno famosa di altre, ma con una “mission” molto particolare: salvare le balene per salvare gli umani.
Williams, che ha girato tutti i mari del mondo come capitano nella marina mercantile e petrolifera, è oggi un dinamico pensionato di 77 anni che non ha smesso di amare il mare e di impegnarsi per la sua difesa. In particolare, da sempre, il centro del suo interesse sono i grandi cetacei. Peraltro il suo racconto è molto coinvolgente perché ci spiega, con una schiettezza tutta marinaresca, non solo i risultati delle sue ricerche, ma anche come è nata l’Associazione, in un periodo in cui la sensibilità ambientale era molto diversa da quella odierna. E di come da una sua iniziale “ossessione” siano scaturiti risultati utili non solo per la protezione di delfini e balene ma anche, potenzialmente, per la stessa specie umana.
Meglio di Aristotele
Ma cominciamo dall’inizio.
A.G. È sempre interessante conoscere le origini di un gruppo che si impegna per la protezione della Natura, tanto più se pensiamo che quasi sessant’anni fa occuparsi di queste tematiche ed ancor più di un argomento come quello della tutela dei grandi mammiferi marini era considerata dai più quanto meno come una faccenda singolare. Inoltre gran parte della associazioni sono nate dall’impulso di pochissime persone o addirittura dall’iniziativa di un solo “Padre Fondatore”, che ha seguito una sua visione portata avanti con una determinazione che da molti allora era considerata quasi folle. Tu come hai cominciato?
D.W. «Nel 1960, dopo aver letto che il grande Aristotele aveva cercato di svelare, senza riuscirci, il mistero degli arenamenti delle balene, ho pensato che forse ci avrei potuto provare io! La mia motivazione in quei giorni (ero giovane!) era diventare famoso come l’unica persona nella storia che fosse riuscita a risolvere un mistero che aveva messo in crisi la migliore mente greca di tutti i tempi. La sfida era come risolvere un cruciverba; onestamente all’inizio non aveva niente a che fare con il salvataggio delle balene e la protezione della natura. Presto divenne per me una vera un’ossessione e ne parlavo continuamente, tanto che i miei amici finirono con il soprannominarmi ‘Dave-salva balene’».
«La mia prima idea fu che le balene fossero state assordate da un’esplosione vulcanica sottomarina e non potessero più navigare in eco. Ai miei amici la cosa piacque e così pensammo di fondare un’associazione no-profit, inizialmente chiamata ‘Moby Dick’ Society, che raccogliesse soldi per gli studi, ma io non ero tagliato per il marketing e la raccolta fondi, mi sembrava di andare a chiedere l’elemosina: tutto quello che volevo fare era risolvere il mistero delle balene che si incagliavano e andare avanti con la mia vita».
A.G. Avevate dei volontari che vi aiutavamo o non vi interessava fare proselitismo?
D.W. «All’inizio avevamo anche dei volontari che ci aiutavano, ma per loro non c’era lavoro, se non noiose ricerche bibliografiche, mentre invece volevano uscire nell’oceano e toccare le balene, non leggere su di loro. Alla fine ho rinunciato ai volontari, ma non li biasimo: è difficile rimanere interessati alle ossessioni di qualcun altro. Oggi invece chi lavora con noi sono ricercatori laureati e molto preparati».
«Nel frattempo iniziai ad andar per mare imbarcato sulle petroliere e presto diventai capitano, riempiendo le mie cabine di libri sulle balene. Nel 1966, mi imbattei in un articolo scritto dalla US Navy che ammetteva che i disturbi di pressione durante un maremoto potevano uccidere e ferire la vita marina. Un rapido cambiamento nella pressione subacquea era la chiave, non il rumore. La Marina degli Stati Uniti aveva ragione. Le onde di pressione del maremoto potrebbero effettivamente ferire le cavità sinusali di un branco di balene in un modo da mettere fuori gioco il loro sistema biosonar. Ciò confermava le basi della mia teoria, che poi ho messo a punto e perfezionato nel corso degli anni».
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