Cominciamo con questo pezzo una nuova serie dedicata ad imparare a “leggere” i segni della natura attorno a noi, per tornare a comprendere cosa ci racconta un determinato territorio attraverso presenze, forme e dimensioni di animali e piante ma anche distinguendo nuvole, acqua, suolo, rocce. Insomma una serie dedicata al “naturalista di campo” che è in noi (anche se magari molto assopito) e che potrà essere comunque utile ad escursionisti, bikers, birders, guide e a tutti gli appassionati che semplicemente amano muoversi all’aria aperta con consapevolezza.
Come noto gli alberi non si spostano. Tuttavia proprio il fatto di essere sempre fissi nello stesso luogo ne fa una sorta di fine rilevatore e memoria storica di ciò che, dal punto di vista ambientale, avviene attorno a loro. E non sono solo i cambiamenti climatici e l’avvicendamento di annate più o meno secche e piovose, che possiamo registrare nei famosi cerchi di accrescimento all’interno del tronco una volta che la pianta è stata tagliata. Molte notizie sullo stato dei luoghi le possiamo ottenere direttamente dalla pianta quando questa è ancora in vita, imparando ad osservarla e, appunto, a “leggerla”. E anche imparando ad ascoltarla.
Infatti le piante ci parlano, non solo attraverso vari indicatori e stimoli rilevabili visivamente, ma anche tramite i suoni. Alcuni sono impercettibili e individuabili solo tramite speciali strumenti, come i micro-schiocchii delle radici scoperti di recete dagli scienziati, che confermerebbero un sistema di collegamento sotterraneo e di scambio di informazioni tra alberi vicini, per esempio quelli di un bosco.
Altri si possono invece ascoltare direttamente con le nostre orecchie, a cominciare dallo stormire delle foglie, la parte più mobile di un albero. Imparare a interpretare i segnali che ci giungono dal movimento delle fronde è una vera arte, sospesa tra scienze naturali e poesia. Già, poiché ci vuole concentrazione ed anche sensibilità da parte dell’osservatore, ma anche la stessa pianta si fa delicata artista in grado di cogliere ogni sottile segnale dalla natura attorno ad essa. Usa le sue foglie ed i rami più esterni, quelli di crescita recente e quindi ancora sottili e flessibili, per cogliere ogni segnale dell’aria, del sole, degli animali e dell’Uomo stesso in un raggio anche di alcune centinaia di metri.
Quando il meteo sta cambiando le foglie sono le prime a segnalarlo, cogliendo il mutare di direzione delle brezze o il variare della loro forza. Se poi l’umidità nell’aria si abbassa e quindi la pressione sale, magari accompagnata da un aumento di temperatura e di conseguente incremento dell’evotraspirazione della pianta, le foglie diventano leggermente più secche e quindi il loro rumore cambia impercettibilmente: “crocchiano” di più. Anche i tronchi ed i rami più grandi e legnosi a volte schioccano e cigolano. Raccontando di una improvvisa folata di vento più forte (che spesso solleva in un vortice anche le foglie secche cadute al suolo), di un micromovimento del terreno o anche del carico e del peso dell’albero stesso che esso deve sopportare, soprattutto alla sua base. Vale infatti la pena ricordare che un grande albero adulto, come una quercia o un pino, devono sopportare al “piede” del tronco forze di trazione anche di 200 tonnellate, soprattutto quando l’albero è molto sollecitato da pressioni e carichi esterni, come quelli di vento e neve. Pertanto non c’è da stupirsi se spesso, durante una tempesta, anche gli alberi più grandi si spezzano improvvisamente nel tronco o nei rami più grossi!
Tra l’altro, a questo proposito, va ricordato che gli alberi più alti e con fronde più dense (es. tutte le conifere, che tra l’altro hanno anche radici che si allargano più in ampiezza che in profondità) sono più esposte a queste rotture improvvise (o anche ai ribaltamenti), rispetto ad alberi più compatti, con radici più profonde e chiome che lasciano “passare l’aria”, come le latifoglie. Così come le specie autoctone in genere resistono a meglio a questi stress locali rispetto alle specie esotiche.
A proposito di venti, soprattutto le forme a le dimensioni degli alberi sono in grado di raccontarci molto sulla direzione e la forza di quelli dominanti, introducendo così un fattore per il quale saper osservare le piante può essere utilissimo, soprattutto per un escursionista: l’orientamento.
Se osservate il profilo di un bosco, soprattutto lungo i suoi margini più esterni (i famosi ecotoni, ovvero le fasce di transizione tra due ambienti diversi), noterete quasi sempre il cosiddetto “effetto a cuneo”, ovvero una crescita diversa, con gli alberi che rimangono più bassi nelle direzione più esposta ai venti dominanti, oppure alle condizioni ambientali più rigide, come quelle di solito esposte a Nord.
In Sardegna o nei punti più ventosi alberi come lecci, pini marittimi o ginepri a volte assumono la famosa forma detta “a bandiera”, ovvero crescono tutti piegati in direzione opposta ai venti dominanti, con i rami più compatti e densi sul lato più esposto, rispetto a quelli più radi sul lato opposto, più protetto .
Tra l’altro gli alberi crescono in modo diverso in forme e dimensioni a seconda se sono isolati o in gruppo. In generale osservando un bosco si possono raccogliere molte più osservazioni che da una singola pianta, che però anche da solo può raccontarci molto, oltre al fatto che sovente, se posta in un punto adatto e senza stress esterni, diventa più grande (i cosiddetti “alberi monumentali”, i giganti più grossi ed anziani del mondo vegetale, sono non a caso per lo più piante isolate). Per esempio tutti sanno riconoscere il Nord dal Sud proprio osservando la presenza sulla corteccia di muschi e licheni, che crescono appunto più abbondanti sul lato più fresco ed umido della pianta, ovvero quello esposto a settentrione. Anche il lato rivolto a Nord di una pianta è in genere meno rigoglioso e con i rami che crescono più verticali rispetto a quello esposto a Sud, dove i rami tendono a crescere invece più in orizzontale.
Tra la presenza di determinate specie di licheni è anche un utile indicatore non solo di qualità dell’aria e dei terreni (come vedremo in modo più approfondito in un altro pezzo), ma addirittura di presenza o meno di elevati livelli di radioattività.
La presenza poi di un specie arborea-arbustiva piuttosto di un’altra ci può raccontare molto sulle caratteristiche dei terreni, se sono in prevalenza acidi o alcalini, umidi o asciutti, sabbiosi o compatti e così via. Faggi, frassini e tassi prediligono suoli più calcarei, mentre betulle, pini silvestri, rododendri ed eriche necessitano terreni acidi. Querce, frassini e tigli una via di mezzo, con tendenze però verso il leggermente acido. Tra l’altro dove crescono querce, castagni, faggi potete stare sicuri di trovare suoli ricchi di humus, che però sarà acido sotto pini ed abeti a causa della caduta e decomposizione dei loro aghi che tra l’altro in questo modo ostacolano la crescita del sottobosco, contenendo così lo strato di cespugli sotto questi alberi. Infine alberi come le tamerici sono tra le poche specie arboree in grado di crescere in terreni sabbiosi (come anche molte palme), ma addirittura salmastri.
Se vediamo carpini, roverelle, lecci, pini, ginestre, ginepri, sorbi, frassini o anche i faggi sapremo poi che il suolo sarà in media abbastanza asciutto e compatto, mentre la crescita di pioppi, salici, betulle ci racconterà di terreni umidi, morbidi o addirittura paludosi. Gruppi di canne e giunchi ci avviseranno della presenza di acqua e fango. Tutte indicazioni che potranno rivelarsi utili se per esempio dovremo uscire da un sentiero e decidere in che direzione attraversare un’area boscata.