Finalmente, al di là di tante belle parole, qualcosa comincia a muoversi a livello di importanti azioni concrete per cercare di mitigare il surriscaldamento globale. Ciò attraverso l’azione più semplice ma anche più efficace e più popolare (nel senso che è davvero alla portata di tutti): piantare nuovi alberi su grandi superfici.
L’Etiopia diventa verde
È di questi giorni la notizia del nuovo record mondiale di piantumazione di nuove alberature detenuto dall’Etiopia. Da fonti governative di quel Paese, infatti, risulta che il 29 luglio 2019 in un solo giorno, nell’ambito dell’iniziativa “Green legacy”, sono stati piantati più di 350 milioni di alberi. Secondo i numeri diffusi dalle autorità di quel Paese, dopo sei ore erano stati piantati oltre 100 milioni di alberi, triplicati dopo 12 ore, stabilendo, a quanto pare, un record mondiale, strappando il primato da Guinness all’India che, nel 2017, aveva piantato 66 milioni di alberi nello stesso arco di tempo.
Ciò nell’ambito delle iniziative che si sta cercando di realizzare in Africa non solo contro i cambiamenti climatici, ma più specificatamente per cercare di arrestare la desertificazione che avanza soprattutto lungo la fascia subshariana. A tale iniziativa etiope hanno partecipato anche enti come l’ambasciata britannica ad Addis Abeba, la compagnia aerea Ethiopian airlines e la missione dell’Unione europea nel Paese ma, soprattutto, hanno dato il loro contributo milioni di cittadini ai quali sono state distribuite le piante. Per l’esattezza, come ha chiosato trionfante il Presidente etiope Abiy Ahmed, 353,633,660 piantine piantate in 12 ore, ovvero una media di circa tre alberi per abitante. Anche volendo dare la tara a questo numero (noi siamo un po’ malfidenti in proposito) e immaginandone effettivamente piantati solo la metà, si tratterebbe comunque di un risultato ragguardevole.
La svolta green del Sud America
Accanto a questa iniziativa ve ne sono poi altre simili che fanno ben sperare.
Ad esempio in Colombia nell’area urbana di Medellin, dove vivono circa 4 milioni di persone, si stanno realizzando una serie di corridoi verdi intraurbani attraverso piantumazioni estensive, finalizzati sia ad aumentare la disponibilità di parchi ed aree verdi per i cittadini, sia appunto per mitigare le isole di calore tipiche delle grandi città. Si tratta di 30 “Green corridors” tramite i quali, secondo un recente comunicato del sindaco Federico Gutiérrez diffuso tramite le Nazioni unite. «Con questo intervento siamo riusciti a ridurre la temperatura di oltre 2°C e già i cittadini lo percepiscono».
Il paradosso australiano
In Australia poi è notizia recente, riportata con giusta enfasi da molti mass-media, del grande piano governativo che prevede di piantare, entro il 2050, un miliardo di piante in nove diverse zone del Paese, dove peraltro ancora resistono 147 milioni di ettari di foreste native, che coprono il 17% del suo territorio. In questo modo, secondo i dati del governo, entro il 2030 le nuove foreste sarebbero in grado di assorbire 18 milioni di tonnellate di gas serra all’anno e Canberra riuscirebbe ad onorare l’accordo sul clima di Parigi del 2015 . Ricordiamo infatti che l’Australia produce oggi 500 milioni di tonnellate di gas serra in eccesso, anche a causa dell’intensivo utilizzo di una risorsa fortemente clima-alterante come il carbone, che tuttora fornisce quasi il 60% dell’energia consumata .
E qua emerge subito un paradosso da parte di un Paese che comunque si inserisce tra quelli cosiddetti “virtuosi”: ovvero per il governo australiano è più facile piantare alberi che ridurre l’uso del carbone! Eppure con questo progetto da 8 milioni di euro di investimenti le autorità australiane puntano anche ad un aumento dell’occupazione nel settore forestale, che oggi contribuisce con 20 miliardi di euro all’anno all’economia nazionale e che vede oltre 52 mila persone impiegate.
Il Brasile va a ritroso
Chi invece dimostra di non aver capito nulla di economia sostenibile a lungo termine e che conferma solo un folle e miope interesse a sostenere quanto promesso in campagna elettorale alle lobbies del legno e dell’estrazione mineraria è il neoeletto presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro. Il grande Paese sudamericano è infatti tuttora la sede , assieme alla Siberia, della più grande foresta del mondo: l’Amazzonia. Essa occupa una superficie totale di circa 5,5 milioni di chilometri quadrati, oltre la metà dei quali appunto in territorio brasiliano. È uno degli ecosistemi più ricchi al mondo, ed è fondamentale per un sacco di cose: dalla produzione di ossigeno e all’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera, alle influenze sul clima tramite la produzione di rilascio di vapore acqueo e di piogge, che finiscono con il condizionare le correnti oceaniche atlantiche e quindi in definitiva anche le temperature globali di un’area vastissima.
Eppure di tutto ciò Bolsonaro se ne frega: invece di preservare il gioiello mondiale che è la foresta tropicale amazzonica o quanto meno rallentarne lo sfruttamento, come bene o male avevano cercato di fare i suoi predecessori almeno nell’ultimo ventennio, il presidente ha ripreso a tagliarla a tutto spiano. L’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe) ha infatti pubblicato delle analisi basate su immagini satellitari che mostrano come nella prima metà di luglio 2019 sono stati distrutti oltre 1.000 chilometri quadrati di Amazzonia, il 68 per cento in più della superficie tagliata nello stesso mese del 2018. Nei sette mesi in cui Bolsonaro è stato presidente la Foresta amazzonica ha dunque perso 3.444 chilometri quadrati di alberi: il 39 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso!
Bolsonaro andrebbe dunque fermato al più presto e magari anche processato dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. E’ infatti ora che anche queste disgraziate azioni siano considerate a tutti gli effetti dei crimini contro l’Umanità, senza ulteriori indugi. Con il futuro nostro e del Pianeta non è più tempo di scherzare!
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