Una parte delle cozze vendute nel nostro Paese viene raccolta sui piloni delle piattaforme offshore.
In Emilia Romagna, da oltre vent’anni, questa operazione viene svolta da alcune cooperative che le immettono poi sul mercato. Si stima che i mitili raccolti in questa maniera rappresentino circa il 5% della produzione annuale della regione e, solo lo scorso anno, ne sarebbero stati commercializzati oltre 7mila quintali, tutti finiti nel piatto dei consumatori.
Ma si tratta di un prodotto davvero sicuro? La risposta la forniscono i dati di Greenpeace, che ha recentemente reso noto uno studio sulla contaminazione ambientale di campioni di cozze raccolte intorno ai piloni di alcune trivelle poste nell’Adriatico.
I dati che emergono sono quantomeno preoccupanti: in una buona percentuale di cozze sono state trovate tracce di metalli pesanti e idrocarburi. Le cozze raccolte presso le piattaforme sono risultate anche contaminate da cadmio e benzene, sostanze note per essere cancerogene.
Dal canto suo Eni, società proprietaria di buona parte degli impianti dai quali si raccolgono i mitili, ha spiegato che a salvaguardia delle aree marine e del prodotto in questione le Capitanerie di Porto, ARPA, ISPRA e CNR-ISMAR effettuano controlli periodici costanti.
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