Poiché le centraline di rilevamento della qualità dell’aria e dell’atmosfera sono disponibili solamente in alcune aree del globo, per studiare le emissioni di biossido di azoto e il loro impatto sul riscaldamento globale e sul buco nell’ozono i ricercatori utilizzano anche altre fonti di informazione, quali i rilevamenti da satellite e le analisi economiche sul Prodotto Nazionale Lordo dei Paesi nelle aree studiate.
Questi studi incrociati aprono un’interessante e controversa prospettiva di osservazione sul tema delle riduzioni di emissioni nell’atmosfera.
Diventa evidente, infatti, come alcune rilevanti e benefiche riduzioni di inquinanti atmosferici siano, in realtà, frutto di eventi drammatici per le popolazioni che vivono nelle aree sotto osservazione.
Per esempio, la Grecia, in particolare Atene, ha fatto registrare una riduzione delle emissioni di NO2 del -4% all’anno dal 1996 al 2011 e un crollo del – 10% per anno tra il 2008 e il 2010, segno evidente dell’impatto della crisi economica sui consumi energetici (trasporti, industria, ecc).
Le aree di conflitto
Cosa succede se osserviamo l’area del Medio Oriente e del Nord Africa, negli ultimi anni al centro di drammatici cambiamenti geopolitici e di conflitti armati? È davvero tragico constatare quanto sia in calo l’emissione di NO2 nell’atmosfera ma come questo dato (di per sé positivo) sia però legato a una vera catastrofe umanitaria.
Iraq: dal 2011 si registra un calo del 10% annuo di emissioni di NO2, accompagnato da un altrettanto rapido declino del PIL del Paese. La sostanziale spaccatura in due dell’Iraq è confermata anche dai dati rilevati dal satellite. Infatti, se al Sud del Paese le emissioni di NO2 sono stabili o in crescita, nelle aree centrali di Tikrit e Samarra, occupate dall’Isis, sono in drastico calo, segno che il conflitto sta lasciando un duro segno sull’economia civile.
Siria: Damasco e Aleppo hanno fatto registrare un declino di emissioni del 40 e 50% rispettivamente dal 2011, in coincidenza con lo scoppio del conflitto e della guerra civile. Questo dato fotografa anche l’impatto che ha avuto sull’economia del Paese la fuga di 4 milioni di profughi verso Libano e Giordania.
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