I cristalli contenuti nelle rocce vulcaniche si confermano un eccezionale strumento per la conoscenza dei fenomeni che scatenano le eruzioni. Come delle microscopiche “scatole nere”, essi registrano buona parte dei processi chimico-fisici che accompagnano la risalita del magma nella crosta. In particolare, due differenti famiglie di cristalli, clinopirosseni e plagioclasi, sono stati al centro di due diversi studi scientifici che hanno visto l’ Etna come laboratorio naturale a cielo aperto.
Le capsule del tempo
Il primo studio, pubblicato su Nature communications e realizzato da due ricercatori del Dipartimento di Geologia del Trinity College di Dublino, ha avuto come oggetto i clinopirosseni di alcune colate laviche dell’ Etna emesse tra il 1974 ed il 2014. Famiglia di minerali comune nei magmi a chimismo da basico ad intermedio, i clinopirosseni vengono utilizzati per la prima volta come veri e propri registratori della storia pre-eruttiva del magma. Sfruttando le loro zonature (bande che descrivono l’accrescimento progressivo del cristallo nel magma liquido), i ricercatori hanno realizzato delle mappe chimiche ad alta risoluzione, studiando in particolare la distribuzione del cromo (Cr) nel reticolo cristallino. I risultati hanno mostrato come le zonature ricche in cromo indichino fasi in cui si registra l’iniezione di un magma profondo proveniente dal mantello. Stimando i tassi di accrescimento dei cristalli, i ricercatori sono riusciti a calcolare un lasso di tempo di circa 2 settimane tra l’iniezione del nuovo magma e l’eruzione dello stesso. Un risultato interessante da tenere in considerazione, insieme ad altri parametri, per migliorare le tecniche di previsione della futura attività eruttiva dell’Etna o di altri vulcani terrestri.
La velocità delle eruzioni
Con il fine di vincolare le condizioni fisico-chimiche che hanno caratterizzato una recente fase esplosiva dell’Etna, un team di ricercatori dell’Università di Catania e del CNR di Pavia ha analizzato la composizione chimica dei plagioclasi inclusi nei prodotti delle esplosioni avvenute tra il 2011 ed il 2013. Minerali molto sensibili alle variazioni dei parametri fisici e chimici del magma (es. temperatura, pressione, composizione chimica), sono stati già utilizzati in passato per studiare fenomeni geologici lenti come lo stazionamento dei magmi nella crosta terrestre. Questa volta invece l’interesse dei ricercatori si è concentrato sull’analisi di fenomeni molto più rapidi come quelli legati alla risalita del magma. Per fare ciò, gli studiosi hanno analizzato la diffusione del litio (Li) nella struttura di questi cristalli, riuscendo a stimare i tempi di risalita del magma che sono nell’ordine di pochi minuti o addirittura secondi. Conoscendo la profondità della camera magmatica che ha alimentato gli eventi esplosivi del 2011-2013, si è dimostrato come il magma sia risalito ad una velocità di circa 40 m/s (~ 150 km/h). L’alta velocità di diffusione del litio e i risultati ottenuti da questa ricerca aprono una nuova frontiera per lo studio dei processi di degassamento o di risalita finale dei magmi anche in vulcani a condotto aperto. Con tutto quello che ne consegue in termini di previsione delle eruzioni.
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