Le vite dei grandi naturalisti della storia sono molto diverse l’una dall’altra: c’è chi ha dedicato la propria carriera agli studi sul campo (Birutė Galdikas, ad esempio) e chi ha portato avanti anni di ricerche tra le tranquille mura di un orto botanico (Gregor Mendel). C’è però un punto in comune tra tutti questi scienziati: una grande passione per la natura, che li ha portati sin da giovanissimi a perseguire gli studi che li hanno resi celebri. Ma in questo senso le vicende dell’americana Cynthia Moss sono assolutamente uniche. Se, infatti, si fosse chiesto alla ragazza nativa dello stato di New York quale sarebbe stato il suo futuro, a venticinque anni lei probabilmente avrebbe risposto che era destinata a una brillante carriera giornalistica. A quell’età Moss era infatti in forza alla prestigiosa rivista Newsweek, dove scriveva di teatro e religione. Indubbiamente amava gli animali essendo appassionata di equitazione ed escursionismo, ma il suo interesse per il mondo naturale si fermava lì. Poi però arrivò la prorompente bellezza della savana africana a rimescolare le carte della sua vita: si prese una lunga vacanza per visitare prima l’Europa e poi l’Africa in compagnia dell’amica Mariana Gosnell. Quando arrivò nelle pianure del Serengeti in Kenya non furono, sorprendentemente, leoni e gazzelle ad attirare la sua attenzione. Gli elefanti, con il loro aspetto maestoso e soprattutto il loro comportamento complesso e affascinante, riuscirono invece a colpirla al punto da farle decidere di dedicare la sua vita al loro studio.
Entrò così in contatto con Iain Douglas-Hamilton, uno scienziato inglese che stava conducendo importanti ricerche sugli elefanti africani, associando questi studi a un attivo lavoro di monitoraggio delle popolazioni e alla loro protezione dal bracconaggio. Finito il periodo di affiancamento, Cynthia decise di restare in Africa, portando avanti suoi personali progetti di ricerca. Il suo talento giornalistico le venne in aiuto: scrisse un manuale per registi e documentaristi in cui venivano raccolte le più aggiornate conoscenze scientifiche sull’elefante africano. Il testo era scritto in maniera mirabile e, vendendo i diritti d’autore a una casa editrice, Cynthia riuscì così ad avviare la sua attività. Nel 1972, insieme al collega Harvey Croze, fondò l’Amboseli Elephant Research Project, per lo studio dell’etologia dell’elefante africano nel suo ambiente naturale. Tre anni più tardi uscì il libro “Portraits in the wild”, che era un’evoluzione del manuale scritto anni prima: oltre all’elefante infatti venivano descritti meticolosamente tutti i più noti animali dell’Africa orientale (rinoceronti, babbuini, zebre, antilopi, grandi felini).
Il resto è storia: oggi Cynthia Moss è a capo dell’associazione Amboseli Trust for Elephants ed è una delle personalità di spicco nel campo della ricerca sugli elefanti africani. È in prima linea nella lotta al bracconaggio ed ha condotto il più lungo e completo studio etologico su un singolo animale selvatico, avendo seguito per 36 anni la leggendaria matriarca Echo, incontrata per la prima volta nel 1973 e morta nel 2009 a 65 anni. Le sue ricerche sugli elefanti di Amboseli sono apparse su giornali e riviste, documentari e programmi televisivi. E, dopo 45 anni trascorsi sul campo, Cynthia non ha ancora smesso di osservare, studiare e amare i suoi amici pachidermi. Niente male per una vita che sembrava destinata a essere trascorsa dietro a una scrivania.
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