Se state leggendo questo articolo in spiaggia, i vostri piedi poggiano su un mare di plastica nascosta. Particelle piccolissime, della dimensione inferiore a 2 millimetri e per questo quasi indistinguibili dalla sabbia. Le microplastiche hanno invaso le spiagge italiane: ogni metro quadro di sabbia ne nasconderebbe dai 5 ai 10 grammi per un totale di 1.000/2.000 tonnellate di plastica presenti solo sui litorali del nostro Paese.
Lo studio italiano
A dirlo è una ricerca condotta dall’Università di Pisa pubblicata su Environmental Science and Technology, rivista dell’American Chemical Society.
Le ricerche hanno preso in analisi alcuni campioni di sabbia raccolti nei pressi delle foci dei fumi Arno e Serchio per determinare la quantità e la natura dei frammenti di plastica inferiori a 2 millimetri; i risultati hanno evidenziato la presenza di notevoli quantità di materiale polimerico parzialmente degradato, fino a 5-10 grammi per metro quadro di spiaggia, derivante per lo più da imballaggi e da oggetti monouso.
«Lo studio ha messo in evidenza quanto questa forma di contaminazione ambientale sia essere pervasiva e pressoché onnipresente anche nelle zone di intensa frequentazione turistico-balneare – spiega il professore Valter Castelvetro, coordinatore dello studio –. Uno dei principali rischi è dato dal fatto che le microplastiche agiscono come collettori di sostanze inquinanti anche altamente tossiche quali, ad esempio, pesticidi e idrocarburi policiclici aromatici».
Rischio sottovalutato
In Italia e nel mondo fino a ora si è cercato di combattere l’inquinamento delle spiagge e dei mari impiegando la cosiddetta “manta”, vale a dire una specie di retino a maglia fine trainato da imbarcazioni che cattura oggetti e frammenti galleggianti ma che generalmente hanno dimensioni maggiori di 2 millimetri.
Le microplastiche, insomma, rimangono esattamente dove sono. «Proprio per questo è importante sensibilizzare il mondo scientifico e delle istituzioni nazionali e internazionali verso il problema delle microplastiche che, sebbene potenzialmente di grande impatto, è stato finora poco compreso – ha concluso Castelvetro –. Sono necessarie nuove ricerche per valutare quale possa essere l’effetto di questa forma di inquinamento altamente pervasiva e, stando ai primi risultati, assai più massiccia di quanto creduto fino a ora».
Da dove arriva la plastica
Dallo studio è emerso che le particelle di microplastica sono composte prevalentemente di poliolefine, materiale di cui sono fatti ad esempio gran parte degli imballaggi alimentari, e di polistirene, una plastica rigida ed economica usata anche per i contenitori dei CD o i rasoi usa e getta. Questi residui variamente degradati sono stati ritrovati in quantità diversa a seconda della distanza dal mare, più concentrati nella zona interna e dunale per effetto della progressiva accumulazione rispetto alla linea della battigia.
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