Lo spunto per questo argomento mi è arrivato percorrendo la ciclabile che corre a fianco del Naviglio tra Abbiategrasso (Mi) e Bereguardo (Pv).
Verso le ore 13 di un giorno infrasettimanale sto pedalando con grande calma, godendomi i riflessi dei papaveri che si specchiano nell’acqua del canale, musica nelle orecchie, strada deserta.
Tra una nota e l’altra percepisco un suono stonato, con sorprendente rapidità, per la mia età ormai over 60, elaboro che si tratta di un clacson alle mie spalle. Mi sposto sulla destra, con le ruote sul ciglio dell’erba, e faccio segno di passare. L’auto mi si affianca, mi stringe e suona di nuovo poi rimane alle mie spalle. Questo cinema si ripete per 3 volte, fin che spazientito, alzo il braccio con un gesto inequivocabile, mi rimetto al centro della pista ciclabile ed accelero al mio massimo. Poi, all’ennesimo colpo di tromba, recupero la calma e mi sposto di nuovo a destra. Alfine auto e relativo conducente, passano rombando, ma la loro corsa dura poco perché incappano in una signora in ciabatte e vestina da casa che avanza a passo d’uomo, in sella ad una scassata bici da passeggio, senza la minima intenzione di scansarsi.
Mi avvicino per godermi i fuochi d’artificio, ma per fortuna, da lì a poco, l’arrogante automobilista, finalmente giunto davanti al cancello della sua proprietà, lascia stare la vecchietta e si ferma in mezzo alla strada col finestrino abbassato, per intavolare una discussione con me.
Mi sforzo di essere gentile e mi fermo. La sua visione della questione è che io non abbia nessun diritto di percorrere quella strada, dato che nella “sua” realtà non è una ciclabile! Io, con tutti quelli della mia categoria siamo degli abusivi che violino la legge. Allora gli chiedo se è disposto a prestarmi il suo telepass, così d’ora in poi, andrò ad allenarmi sull’Autostrada A4 nell’ora di punta.
Purtroppo non riesco più a controllarmi, lo mando platealmente a quel paese e tiro dritto per la mia ciclabile, carico di rabbia e di frustrazione.
Tutto questo preambolo per richiamare il variegato mondo dei ciclisti ad un esame di coscienza.
Noi rappresentiamo l’anello debole della catena degli utenti della strada; quindi, troppo spesso, il nostro comportamento spesso irrispettoso è controproducente e masochistico.
Quante volte, in gruppo, ci facciamo forti del fatto di essere in tanti, per non rispettare niente e nessuno. Marciamo affiancati occupando l’intera carreggiata, discutendo dei fatti nostri. Ci spostiamo improvvisamente, in mezzo alla strada, per evitare un nostro compagno, che si è distratto. Non rispettiamo nessun semaforo e ce ne guardiamo bene dal considerare il diritto di precedenza nelle rotatorie. Ci fermiamo di colpo, o giriamo all’improvviso senza curarci di chi ci segue. Stiamo fermi, ad un incrocio o su di un passaggio, per aspettarci o per decidere dove andare e, quando qualcuno ci chiede di lasciarlo passare, lo facciamo bofonchiando e con grande fatica.
Poi, da soli, consci dei pericoli che corriamo, ritorniamo ad essere più rispettosi.
Ma ormai il danno è fatto, per i cugini su 4 ruote, siamo considerati peggio di Belzebù, così che qualunque occasione diventa una buona scusa per insultarci, spaventarci, o peggio tirarci sotto.
Sicuramente l’automobilista di cui sopra, avrà mille aneddoti da raccontare contro la categoria dei pedalatori, giustificando in questo modo l’originale idea che la “sua strada” sia di proprietà delle sole 4 ruote.
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