È davvero difficile parlare dell’alluvione che l’altra notte ha devastato Valtrebbia e Valnure, nel Piacentino. Cosa resta da dire che già non è stato detto?
Trent’anni fa eravamo in quattro gatti a denunciare l’eccessivo consumo di suolo, la speculazione edilizia selvaggia, l’assenza di manutenzione del paesaggio. Oggi è un coro assordante: tutti a scrivere che, basta!, bisogna impedire di costruire dove non si deve costruire e si devono mettere in sicurezza i territori. Lo dicono perfino quelli che scrivono per giornali finanziati da grandi costruttori e immobiliaristi.
E poi? Poi non succede nulla, fino al nuovo disastro. E riprende la litania.
È triste, tremendamente triste tutto questo. Un’autentica commedia all’italiana, se non fosse che ogni volta si contano vittime e danni ingenti. A che punto siamo con il piano nazionale contro il dissesto idrogeologico annunciato quasi un anno fa in pompa magna dal premier Renzi e dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti? Quanti crolli, smottamenti, frane e dispersi dovremo contare ancora prima di assistere davvero a un’inversione di rotta?
Non occorre essere geologi o urbanisti per accorgersi che nulla sta cambiando per ora. Basta guardarsi attorno mentre si viaggia in questa Italia martoriata: strade, autostrade, giganteschi svincoli, faraonici centri commerciali, palazzi e case stanno sorgendo un po’ ovunque. Come 50, 40, 30, 20, 10 anni fa.
Occupano terreni alluvionali, aggrediscono colline, cementificano campagne. Tutto ciò serve a far riprendere l’economia, sostengono in molti. Ma qualcuno sta tenendo i conti di quanto incidono sul Pil i danni provocati da questo inaudito saccheggio?
Non per recitare sempre la parte antipatica di quelli “che noi l’avevamo detto”, ma siamo solo a metà settembre e presto arriveranno le piogge autunnali. Ogni anno siamo costretti a sopportare perdite di vite umane e costi sociali elevati a causa di calamità che in molti casi si sarebbero potuti evitare se solo si fossero seguite le più elementari regole di pianificazione o che si potrebbero ancora contenere se si facessero investimenti seri nella messa in sicurezza di un’Italia diventata spaventosamente fragile.
“Scrivo da sempre lo stesso articolo, finché le cose non cambieranno continuerò imperterrito a scrivere le stesse cose”, così ripeteva Antonio Cederna (1921-1996), pilastro della cultura ambientalista italiana. E allora proviamoci anche noi. Sconsolati, ma imperterriti. Almeno potremo dire di avere fatto il nostro dovere. Altri no.
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