Come noto uomini e donne vedono le cose in modo diverso. Ma non si tratta di un luogo comune: davvero la vista di maschi e femmine presenta interessanti differenze, per lo più poco conosciute dalla maggior parte delle persone. Infatti, tralasciando gli aspetti emotivi, vi sono diversità biologiche che secondo numerosi studi, tra i quali quelli pubblicati su Biology of Sex Differences e condotti dall’equipe dello psicologo Israel Abramov del Brooklyn College, affondano le loro radici su basi genetiche a loro volta differenziatesi da un diverso (leggermente) percorso evolutivo.
In sostanza le donne (in media) riescono a distinguere meglio i colori, mentre gli uomini sono più abili nell’individuare oggetti in rapido movimento e a cogliere particolari in lontananza. Una capacità, quella dei maschietti, che i ricercatori attribuiscono allo sviluppo neuronale nella corteccia visiva, che viene amplificato dagli ormoni maschili come il testosterone e che farebbe sì che i maschi nascano con il 25 per cento in più di neuroni in questa regione cerebrale rispetto alle femmine. Peraltro per gran parte dello spettro visibile i maschi hanno bisogno di una lunghezza d’onda leggermente superiore rispetto a quella delle femmine per poter percepire la stessa tonalità. Ovvero, dal momento che una lunghezza d’onda maggiore è associata a colori più “caldi”, ecco che una certa sfumatura di arancione può apparire più rossa a un uomo che a una donna; allo stesso modo, l’erba appare sempre più verde alle donne rispetto agli uomini, i quali percepiscono gli oggetti verdi con tonalità più tendenti al giallognolo.
In generale dunque le donne sono in grado di cogliere un maggior numero di sfumature dei maschi, che tra l’altro sono anche 16 volte più inclini delle femmine ad essere daltonici.
I ricercatori ipotizzano che queste diverse capacità si siano evolute nel corso dei millenni per meglio rispondere ai diversi ruoli che i due sessi hanno tenuto dalla preistoria e sino a pochi secoli fa: i maschi, che svolgevano soprattutto attività di cacciatori e guerrieri, sarebbero stati maggiormente in grado di individuare possibili prede o predatori da lontano, mentre le femmine, raccoglitrici, potrebbero essersi adattate in modo da poter riconoscere più facilmente in base al colore oggetti statici, come bacche o verdure. Che poi sarebbe abbastanza logico che chi raccoglieva semi e frutta dovesse distinguere meglio di chi andava a caccia le sfumature per evitare di prendere roba marcia, immatura o addirittura velenosa!
Ecco allora che si spiega come anche le signore di oggi definiscano “color carta da zucchero” quello che per molti maschietti è un normale azzurro, il “testa di moro” invece che marrone scuro, un “color basalto” quello che per il loro compagno è solo un grigio, “color pesca” invece che un rosa e così via. E non si tratta di sessimo quando gli uomini ridono a certe uscite delle signore, ma solo una sorta di vero handicap percettivo. E allora si spiega come, ai tempi delle superiori, mezza classe rise (noi maschietti) quando la prof di scienze descrisse il colore della fiamma azzurrina del potassio al becco Bunsen dicendo: “notate il tipico colore viola pervinca fugace”!
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