Quel tardo pomeriggio d’inizio estate mi trovavo in giardino della casa dei miei genitori e chino davanti all’ampia porta-finestra del salone da pranzo, ero intento a strappare le erbe incolte che spuntavano presuntuose tra gli arbusti d’ortensia.
Era una vittoria temporanea, perché sotto sotto le erbacce restavano padrone, come sempre.
Mia madre si affacciò alla finestra del salotto e iniziò a fissare, con sguardo d’approvazione, il mio lavoro metodico.
Dopo qualche minuto di silenzio, mia madre esordì: «Hai fatto bene a venire a strappare un po’ di erbacce, mentre Giorgio è via. Ho l’impressione che tuo padre si lasci imbrogliare un pochino dal giardiniere. Giorgio viene due volte la settimana, chiacchiera in abbondanza e, a quanto mi pare, di lavoro ne fa ben poco».
Mia madre d’altronde aveva ragione. Giorgio, un uomo di mezza età dallo strano aspetto, simile a un avvoltoio pronto a balzare sulla preda, e dalla folta capigliatura, ogni volta che ti vedeva, intraprendeva discorsi pieni di foga sulla botanica, ma che spesso risultavano incomprensibili.
Mentre riflettevo sulle parole di mia madre, squillò il mio telefono. «Pronto, sono il dottor Corbetta», dissi.
«Salve, sono la mamma di Spencer. È lì da lei?», rispose una voce femminile.
«Mi scusi, ma non capisco. Chi è Spencer?»
«Dottore, Spencer è il mio Labrador. Sono Luisa, l’amica di sua zia»
«Ah, salve signora Luisa. Mi scusi ma non avevo riconosciuto subito la sua voce. Comunque Spencer non è qua. Ma anche volendo, non capisco perché lo chieda a me…», domandai con tono sorpreso.
«Spencer non lo vedo da questa mattina, e pensando che fosse andato a trovare qualche suo amichetto cane, ho subito pensato al suo cane Cacao e l’ho chiamata».