Lascia poco spazio a interpretazioni positive il nuovo rapporto pubblicato da IPBES, la piattaforma di politica scientifica intergovernativa sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici.
Il report – che è frutto del frutto del lavoro di 3 anni da parte di 150 scienziati a livello internazionale ed esperti di 50 Paesi – mostra tutti i rischi derivati dall’attuale modello di sviluppo, definito insostenibile per il nostro Pianeta.
Minacciati uomo e animali
C’è poco tempo e serve agire nell’immediato. L’IPBES, infatti, sottolinea come i cambiamenti climatici non potranno che aggravare la salute ambientale già ampiamente compromessa dallo sfruttamento insostenibile.
Un declino inevitabile – a meno di serie politiche a favore dell’ambiente – che minaccia la sopravvivenza non solo della nostra stessa specie, ma anche di centinaia animali non umani.
«Nel nostro Paese il 50% delle specie di uccelli comuni, tra i quali allodole, passeri e rondini, è in declino e questo a riprova che i dati drammatici dell’IPBES hanno una caduta anche nell’ambiente più prossimo a noi» commenta Claudio Celada, direttore Area conservazione natura della Lipu.
Cambiare politiche
Per evitare il collasso degli ecosistemi è necessario intervenire da subito. Secondo la Lipu, sono quattro i punti imprescindibili sui quali i governi dovrebbero mettersi al lavoro. «Un’agricoltura sostenibile che rispetti il territorio e la biodiversità; una seria lotta ai cambiamenti climatici; uno stop definitivo al consumo del suolo e alla distruzione degli habitat naturali sono le priorità» spiega l’associazione.
«Occorre perseguire con determinazione l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius, come previsto dall’accordo di Parigi – prosegue Celada –. Le emissioni di gas a effetto serra devono essere ridotte di almeno il 55%, l’efficienza energetica deve essere aumentata del 40% e la quota di energie rinnovabili deve aumentare almeno al 45% entro il 2030. Solo così potremo sperare di contenere i disastrosi effetti che già ora si stanno manifestando sul nostro Pianeta».
L’agricoltura intensiva e industrializzata degli ultimi decenni ha provocato gravi danni e le politiche settoriali vanno ripensate in modo profondo.
«Inondando il pianeta di pesticidi e prodotti chimici di sintesi, la biodiversità si è ridotta e la salute umana e animale è stata esposta a seri rischi – aggiunge –. L’Europa in tal senso può fare molto, sia a livello continentale, sia globale: approvando una riforma sulla via di un’agricoltura realmente sostenibile e contribuendo a preservare le foreste nelle altre parti del mondo; sospendendo, per esempio, la richiesta di biomasse che rendono economicamente più conveniente, per le popolazioni locali dei paesi tropicali, disboscare le foreste per realizzarvi estensioni di monocolture intensive, invece di tutelare le foreste».
La tutela del Pianeta non può prescindere dalla difesa degli habitat naturali. «E questo è possibile solo difendendo le aree a più alta biodiversità, come i siti di Rete Natura 2000, e tutelando il mare e le specie marine, anche attraverso la riduzione degli impatti delle attività umane e il divieto della plastica monouso» conclude Celada.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com