Sono ormai una trentina gli ecovillaggi che fanno parte della RIVE, l’associazione Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, nata nel dicembre 1996 per tenere in contatto le tante eterogenee realtà degli ecovillaggi sparsi sul territorio italiano e per supportare la nascita di nuovi.
Infatti , della RIVE fanno parte ad oggi anche 23 progetti, ovvero nuovi “semi” di futuri ecovillaggi o iniziative legate comunque a questo modo nuovo di abitare ed insediarsi in un territorio.
Alla metà degli anni ’90 non si parlava ancora di ecovillaggi e le esperienze in merito erano pochissime, nate per lo più sull’onda delle “comuni” sessantottine e quindi con forti connotazioni politiche. Non a caso il primo nucleo operativo dei fondatori della RIVE era composto da sole quattro realtà: Torre Superiore in Liguria, Damanhur in Piemonte, Comune di Bagnaia e Popolo degli Elfi in Toscana. Oggi la rete è cresciuta ed appare in continua espansione, unita non solo da una maggiore eterogeneità delle esperienze, ma anche da una sempre maggiore consapevolezza di chi fa queste scelte, affascinanti ma certo non facili, al di là di certe immagini romantiche a volte propinate dai mass-media.
E la ricchezza della RIVE sta proprio nella capacità di unire in un’unica rete anche realtà molto differenti tra loro, evidenziandone i valori e le possibilità e sostenendole nei passaggi più complessi, soprattutto all’inizio.
Alcune di questi insediamenti hanno tuttora un taglio politico od ideologico molto marcato, altre si basano su una profonda spiritualità o sulla ricerca di un più stretto rapporto con la natura, ma per tutti quello che più conta è la volontà di condivisione di una scelta mirata ad andare oltre “l’abitare” tradizionalmente inteso. Tra l’altro la RIVE fa parte a sua volta del GEN- Europe (Global Ecovillage Network), il movimento internazionale degli ecovillaggi da cui possono sempre arrivare nuovi spunti in grado di arricchire le esperienze in corso.
Fondare o trovare un ecovillaggio adatto alle proprie esigenze non è una scelta facile, richiede tempo e consapevolezza.
E’ un po’ come trovare un “luogo dell’anima”, bisogna prima di tutto visitarlo e poi viverlo il tempo necessario per capire qual è lo stile di vita e se è adatto alla nostra personalità ed alle nostre aspettative. In troppi casi, infatti, si registrano ancora persone che si avvicinano a queste esperienze con idee troppo teoriche e con una scarsa volontà di reale cambiamento, con il risultato che spesso si assistono a repentini dietrofront dopo poco tempo. Tuttavia questo tipo di persone sembrerebbe in diminuzione, sempre più sostituite da soggetti più consapevoli, che magari arrivano per gradi a scelte di questo tipo, ma in modo più convinto. Magari passando da qualche esperienza sempre più diffusa di cohousing sociale, ovvero da forme particolare di vicinato, dove viene preservata la privacy degli spazi abitativi ma vengono condivisi molti spazi relativi ai servizi comuni.
Si tratta in questi casi di scelte che, meno radicali dell’ecovillaggio, permettono comunque di superare l’isolamento tipico dei condomini rispondendo ad una serie di questioni pratiche del vivere con una sorta di “welfare” personalizzato.
La prima esperienza di cohousing, che non a caso risultano molto adatte anche alle realtà urbane, è sorta nel 1972 in Danimarca, per poi propagarsi nei vicini stati scandinavi. Oggi si contano migliaia di esperienze in tutto il mondo e anche in Italia si registrano almeno una quindicina di realtà, di cui otto iscritte alla RIVE, con due in grandi città come Torino e Milano.
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