La parola d’ordine è evento. Che già di per sé è orribile. Figuriamoci poi quando è associata a location.
Eppure l’Italia intera è diventata un’immensa location per eventi. Aree archeologiche e musei, palazzi storici e chiostri sono utilizzati per ospitare feste private di ogni tipo: aperitivi, matrimoni, convention aziendali, vernissage, incontri politici.
Servono profitti, è l’altra parola d’ordine. Quindi avanti con chiusure temporanee, parziali e totali, di spazi pubblici. Chiusure che ne penalizzano il libero godimento.
Poi ci sono i beni demaniali d’Italia da mettere in vendita: fari, torri e fortificazioni militari. Un’asta per nuovi ricchi, ancora attratti dal fascino residuale del Belpaese.
Generazioni di viaggiatori colti, letterati e pittori, sono venuti da noi perché stregati dal mito del “Giardino d’Europa”. Ci venivano per Giotto e Michelangelo, per i templi di Agrigento e le rovine di Pompei, per i capolavori fiorentini e i Fori Romani. E per il paesaggio, sublime cornice dei capolavori d’arte universali. Come pensare alle ville palladiane senza la campagna veneta, a San Gimignano senza la serenità dei colli toscani, alle Cinque Terre avulse dalla cornice del mare e dei terrazzamenti? Oggi, invece, l’Italia è offerta come un luogo dove vivere una luxury experience. Altra espressione terribile, da catalogare nella lista di quelle che non andrebbero mai pronunciate, insieme a eventi e location.
Lo Stato è sempre meno garante della nostra storia, delle nostre tradizioni, della nostra stessa identità. E la politica degli ultimi anni sta trasformando la cultura da bene comunitario in risorsa per pochi.
Per dire sì a una Repubblica che «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», e cioè che lo mantiene, lo restaura, lo rende accessibile a tutti e non lo mercifica; per dire no alle scelte di Matteo Renzi e Dario Franceschini, no alla distruzione sistematica della salvaguardia attraverso il silenzio assenso delle soprintendenze e la confluenza di queste ultime in uffici diretti dalle prefetture, e cioè dal governo stesso; no alla norma del silenzio-assenso contenuto nella Legge Madia che fa scontare all’ambiente e al paesaggio prezzi altissimi; per chiedere di introdurre l’insegnamento curricolare della storia dell’arte dal primo anno della scuola superiore; per chiedere che si rinunci all’idea di smembrare i Parchi nazionali, che si rinunci al loro depotenziamento, che si nominino presidenti e direttori di livello nazionale e non più esponenti locali; per tutte queste e altre ragioni ancora è stata indetta la manifestazione nazionale “Emergenza cultura” il prossimo 7 maggio, in piazza Barberini, a Roma. È un appello in difesa dell’art. 9 della Costituzione aperto a tutti coloro che condividono l’analisi e le proposte contenute in questo manifesto.
C’è chi vuole “valorizzare” il Paese, con peripezie e goffaggini da fare invidia al Totótruffa che vende la fontana di Trevi. E chi vuole continuare a proteggerlo e amarlo. È importante scegliere da che parte stare.
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