L’ira del ministro Dario Franceschini. L’indignazione dei commentatori sulla stampa nazionale. La sentenza del Tar che ha annullato le nomine di cinque dei venti nuovi super-direttori, anche stranieri, dei musei nazionali si è trasformata all’istante in una nuova occasione per mettere in scena la commedia all’italiana.
Ora tutti a dire che è una vergogna. Una sentenza che fa il male della cultura in Italia, è stato perfino scritto. Ma come? Decenni di mala gestione, trascuratezze e sperperi, e ora stai a vedere che la cronica incapacità del nostro Paese di gestire al meglio e promuovere i propri gioielli d’arte sarà addossata ai giudici amministrativi del Tar che, non entro neppure nel merito della questione, hanno semplicemente fatto il loro lavoro.
Ora tutti a difendere la riforma. Ma quale riforma? Quella combinata dei ministri Franceschini e Madia che ha spostato tutto l’asse della questione beni culturali dalla tutela alla valorizzazione? La stessa che umilia le competenze delle soprintendenze e che ha privato di ogni prospettiva il paesaggio, le biblioteche e gli archivi?
Ma tutti questi soloni che s’indignano e attaccano il lavoro dei giudici – fra loro ci sono gli stessi che di solito scrivono e scendono in piazza per difendere l’operato della magistratura – si sono mai interessati davvero ai contenuti della riforma del Mibact?
L’idea di fondo è che i musei siano macchine per far soldi. Dunque è sufficiente togliere un poco di polvere e il gioco è fatto. Che idea provinciale! Perché sarà pur vero che il Grand Louvre da solo incassa quanto tutti i musei italiani, però per completezza d’informazione occorre aggiungere che con le proprie entrate copre sì e no il 50 % dei costi, come del resto accade al Metropolitan Museum of Art di New York.
In Inghilterra, che forse qualcosa avrebbe da insegnarci al riguardo, hanno ben compreso che non sono i musei a far soldi bensì il loro indotto, cioè il turismo culturale organizzato e promosso in modo adeguato e convinto, tanto che hanno reso gratuiti gli ingressi ai maggiori musei nazionali puntando così ad incrementare i visitatori. E ci sono riusciti.
L’accesso gratuito ai musei non è solo il segno di una società civile, ma è anche una lungimirante strategia economica. Noi invece siamo in preda all’ebbrezza della “valorizzazione”.
«Il fatto che il Tar del Lazio annulli la nostra decisione merita il rispetto istituzionale che si deve alla giustizia amministrativa ma conferma – una volta di più – che non possiamo più essere una repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso», ha scritto su Facebook il segretario del Pd Matteo Renzi. E no, caro Renzi, non funziona proprio così. Franceschini e i suoi collaboratori, consulenti e via dicendo avrebbero dovuto conoscere i cavilli, che poi altro non sono che le pieghe delle leggi approvate dal Parlamento, luogo frequentato da almeno una quindicina d’anni dal ministro, forse più.
«Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi, spesso poco chiare se non incomprensibili», ha detto Fabio Mattei, presidente Anma, l’Associazione nazionale magistrati amministrativi sulla decisione del Tar sui direttori dei musei. «La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire le porte all’Europa – e noi siamo d’accordo – bisogna cambiare le norme, non i Tar».
Insomma per cambiare i direttori occorreva prima cambiare le norme. Il resto sono chiacchiere di opinionisti e ministri pasticcioni.
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