Quando si parla di migrazioni, si immagina sempre il grande viaggio da un continente all’altro compiuto da centinaia di specie animali e tra queste molti uccelli, che ad esempio, scelgono il clima più mite dell’Africa durante l’inverno per poi tornare a nidificare in estate alle latitudini più a Nord.
Ma esiste anche un altro tipo di migrazione a cui, quando giunge l’inverno, possono assistere coloro che hanno la fortuna di vivere vicino alla catena alpina e appenninica. Si tratta delle migrazioni verticali, che non si sviluppano a livello latitudinale ma altimetrico.
Infatti, abbondanti coperture nevose e temperature estremamente rigide inducono fringuelli alpini, frosoni, crocieri, nocciolaie, ma anche civette nane e capogrosso e persino galli cedroni e fagiani di monte a decidere di scendere di quota per trovare condizioni meno proibitive.
Per gli uccelli l’arrivo del freddo comporta un notevole dispendio di energia: le loro riserve di grasso, fondamentali per la sopravvivenza, si possono assottigliare in modo drammatico e, in annate particolarmente rigide, questo può portarli a morire per inedia.
Uccelli che nidificano tra i 1500 e i 1800 metri possono scendere sino a quota 400-500 metri e talvolta sino alle aree planiziali.
Per questo motivo chi vive ai piedi delle Alpi o degli Appennini potrà avvistare nelle proprie mangiatoie qualche specie tipicamente alpina, che magari in estate avrà osservato in alta montagna.
La migrazione verticale è la risposta opportunistica e intelligente degli uccelli alle drastiche riduzioni di cibo e al freddo che avvolgono le nostre montagne d’inverno. Magari non ci abbiamo mai fatto caso ma l’abbiamo davanti agli occhi ogni anno, con uccelli alpini che sperano di trovare cibo in collina, pianura e talvolta persino nelle città, che sappiamo essere più calde di qualche grado.
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