La scoperta scientifica del Gatto delle Ande è una storia italiana corredata di un aneddoto curioso.
Il Gatto delle Ande (Leopardus jacobita Cornalia, 1865) è il più raro e meno conosciuto fra i gatti del Sudamerica. Non sono molte le persone che hanno avuto la fortuna di poterlo osservare.
Ha una lunghezza, compresa la coda, di circa 1 m / 1,30 m e un aspetto robusto, dovuto specialmente al pelo lungo, fitto e lanoso. Quest’ultimo, di color grigio argento chiaro, presenta numerose macchie verticali allungate di color ruggine.
Il muso molto grazioso è piccolo, con naso quasi nero. La coda, lunga e folta, presenta circa nove anelli scuri che si allargano verso la punta arrotondata.
È distribuito in un’area geografica ristretta e probabilmente frammentata, in una zona andina tra Perù, Bolivia sud-orientale e Cile settentrionale; lo troviamo anche sulle Ande dell’Argentina fino alla Patagonia settentrionale.
A Nord frequenta ambienti di alta montagna dai 3000 ai 5000 metri come i vari tipi di Puna, caratterizzati da ciuffi di erbe del genere Festuca, ma anche i contrafforti quasi nudi e rocciosi fino ai deserti freddi d’alta quota del Salar de Surire National Park in Cile.
Più a Sud frequenta altitudini inferiori e recentemente è stato scoperto in una piccola zona isolata nella Patagonia Argentina a una altitudine di 1800 metri, nella Provincia di Mendoza, e a 650 metri a Neuquen.
Cacciatore d’alta quota
Il Gatto delle Ande tende l’agguato nascondendosi tra le rocce e l’erba alta. È specializzato nella cattura di roditori: topi, cavie, e specialmente le viscacce di montagna (Lagidium spp.), un roditore tipico delle Ande. Prima della rarefazione del Cincillà (Chinchilla lanigera) era probabilmente questa la sua preda di elezione. Cattura anche uccelli terricoli e rettili.
1864, lo studio del primo esemplare
Il primo esemplare con cui fu descritta la specie, che quindi ne rappresenta il cosiddetto ‘Tipo’, venne studiato per la prima volta al mondo nel 1864 dal Prof. Emilio Cornalia (Milano 1824-1882), direttore del Museo di Storia Naturale di Milano dal 1866 fino alla sua morte. L’esemplare di questa specie, fino ad allora sconosciuta alla scienza, era stato portato in Italia e donato al museo dal Prof. Paolo Mantegazza (1831- 1910), medico, vaggiatore, famoso divulgatore scientifico e antropologo, che lo trovò in Argentina settentrionale vicino al confine con la Bolivia (tra Potosi e Humahuaca) a soli 1500 m di altitudine.
Dedicato a una donna
Ma perché Emilio Cornalia assegnò a questa specie il nome “jacobita”?
Quando il Cornalia descrisse questo gatto le sue parole furono: «…Questa nuova specie io chiamerò Felis o Leopardus jacobita in onore di Jacobita (Tejada) Mantegazza, donna d’ogni pregio ornata…».
Jacobita Tejada de Montemajor era la moglie di origine argentina che Paolo Mantegazza aveva sposato durante il suo lungo soggiorno nel paese sudamericano e che lo aveva poi seguito a Milano.
Come si può intuire dalle parole del Cornalia, è probabile che questi nutrisse dei sentimenti per questa donna che pare fosse di grande bellezza. E a lei dedicò questa nuova specie di gatto selvatico.
Purtroppo l’esemplare impagliato di questo gatto andino, il cosiddetto “Tipo”, non esiste più. È andato distrutto, insieme a gran parte delle collezioni del Museo di Storia Naturale di Milano, nel 1943, durante la II Guerra Mondiale, quando Milano fu bombardata dall’aviazione inglese.
I felini del mondo
Il dott. Giovanni Giuseppe Bellani, consulente zoologo e museologo in vari Musei di storia naturale in Italia, ha realizzato un libro scientifico che fa chiarezza sulla nuova classificazione della Famiglia Felidae e sulla situazione conservativa (secondo la Red List di IUCN, e CITES) di tutte le 41 specie di felidi e delle 77 sottospecie riconosciute attualmente dalla Scienza.
“Felines of the World – Discoveries in Taxonomic Classification and History”
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