Correva l’anno 1741, e il secondo viaggio di esplorazione della Kamchatka guidata dal capitano Vitus Bering si stava concludendo nel peggiore dei modi. La spedizione, che aveva lo scopo di esplorare i più remoti lembi nordorientali dell’Impero Russo e che aveva condotto alla scoperta dell’Alaska, doveva all’improvviso fermarsi su una remota isola del Pacifico. Erano stati trascinati lì dal cattivo tempo, ma il capitano e gran parte della ciurma erano ammalati e non erano in grado di proseguire. Con ogni probabilità, il malessere in questione era lo scorbuto, causato dalla carenza di vitamina C. La malattia era già conosciuta, e ben si sapeva che colpisse i marinai dopo lunghi viaggi. Se ne ignoravano però le cause e la prima cura efficace sarebbe stata creata da un medico scozzese pochi anni dopo, nel 1747. In ogni caso, il naturalista di bordo, il tedesco Georg Wilhelm Steller, fu tra i pochi a non essere colpito dalla malattia. Aveva infatti approntato un rimedio composto da bacche e foglie, che però venne rifiutato da buona parte dei suoi compagni di viaggio.
L’isola su cui erano attraccati avrebbe preso il nome del capitano. Questa era, insieme alla vicina isola del Rame, l’ultima dimora di un gigantesco animale, imparentato con gli attuali dugonghi e lamantini. Forse si trattava del più grande mammifero marino mai esistito, esclusi ovviamente i cetacei. Steller descrisse la specie con dovizia di particolari, parlando di esemplari lunghi fino a otto metri e pesanti fino a dieci tonnellate. Avrebbe preso il nome di ritina di Steller, o anche di “vacca marina”. Purtroppo, la storia di questo animale sarebbe stata tra le più tristi nella storia della zoologia. La specie, che quando venne scoperta dall’uomo era già in declino, si sarebbe estinta, a causa della caccia spietata, soltanto 27 anni dopo la sua scoperta.
A Bering, morto durante il viaggio, sarebbe stato intitolato anche lo stretto che separa l’Alaska dalla Russia. Steller, dal canto suo, fu uno dei pochi a sopravvivere alla spedizione, grazie alla sua lungimiranza. Negli anni successivi sarebbe ritornato a esplorare le terre siberiane. Tra le tante specie artiche da lui scoperte e descritte, alcune portano ancora oggi il suo nome: oltre alla “vacca marina”, ricordiamo un leone marino, un’aquila, una ghiandaia e un’anatra.
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