Per gran parte del XX secolo, vedere nel cielo blu delle Alpi quelle ali immense, di quasi due metri e mezzo di apertura, è stato praticamente impossibile.
Ma oggi, con l’aiuto dell’uomo, dopo quasi ottant’anni di assenza, il gipeto (Gypaetus barbatus) è tornato sulle nostre montagne e l’incontro con questo splendido avvoltoio è sempre più frequente. In Italia, uno dei luoghi più adatti per l’avvistamento è senza dubbio il Parco Nazionale dello Stelvio, lungo i versanti rocciosi della Val Zebrù.
Il gipeto, uno specialista spaccaossa
Mangia in massima parte ossa di grandi ungulati, comprese quelle lunghe quanto una spanna, per assimilare il nutriente midollo. Riesce in questa impresa, a prima vista impossibile per un uccello, grazie a una serie di formidabili adattamenti, quali la grande apertura del becco e i succhi gastrici fortemente acidi.
Le ossa troppo grandi vengono fatte precipitare dall’alto sulle rocce, utilizzate come “rompitoi”, e poi ingoiate con calma. L’abbondanza di ungulati selvatici nello Stelvio, come cervi e stambecchi, garantisce la disponibilità di cibo sotto forma di carcasse. Attualmente si contano dodici coppie di questi avvoltoi nel territorio del parco.
Le possibilità di vedere i gipeti all’opera sono ottime per gran parte l’anno, perché il ciclo riproduttivo del rapace è insolitamente lungo e in quel periodo gli adulti rimangono legati all’area di nidificazione. In autunno, infatti, le coppie iniziano a sistemare il nido sulle pareti rocciose, per poi accoppiarsi e deporre, già tra fine dicembre e gennaio, due uova, che si schiudono a marzo.
Uno dei piccoli soccombe quasi sempre, ma il più forte è seguito e alimentato con dedizione dai genitori per quasi quattro mesi. A luglio arriva il momento dei primi voli, che proseguono fino alla fine dell’estate, quando il giovane gipeto diventa indipendente.
Il progetto di reintroduzione
A vederli volteggiare sempre più di frequente su queste vette non lo si direbbe, ma il gipeto ha conosciuto periodi davvero bui. All’inizio del Novecento era scomparso dalle Alpi, a causa della scarsità di grandi erbivori e della persecuzione dell’uomo, che lo riteneva responsabile della predazione degli animali domestici.
Non a caso il nome con cui questo rapace è anche noto è proprio avvoltoio degli agnelli. Nel 1978, però, venne avviato un progetto internazionale, tuttora in corso, con l’obiettivo di ricostituire una popolazione naturale di gipeto sulle Alpi.
I primi individui furono rilasciati nel 1986 in Austria e poi in Italia, nel Parco Nazionale dello Stelvio e nel Parco Naturale delle Alpi Marittime. Sono stati liberati in nidi artificiali su pareti rocciose giovani di circa tre mesi, nati in cattività, che venivano nutriti dall’uomo, ma riducendo al minimo il contatto visivo, perché i piccoli non assumessero comportamenti di dipendenza dagli uomini.
Il progetto di reintroduzione è stato un grande successo: oggi in tutto l’arco alpino volano più di 200 gipeti, che si spostano lungo una vasta rete di aree protette.
Fino al rifugio con il binocolo al collo
La Val Zebrù attraversa i rilievi settentrionali del parco da ovest verso est, ed è percorsa da una strada sterrata che da Niblogo (1.610 metri) costeggia il torrente Zebrù. Lungo il percorso i cartelli del parco forniscono informazioni sugli habitat e le specie presenti, gipeto compreso.
È inutile muoversi troppo presto alla mattina, perché a questi rapaci piace volare con le termiche, le correnti di aria calda che nelle belle giornate si sollevano dal terreno verso le 10. Si può sorvegliare il cielo lungo le cime con l’aiuto di un binocolo, alla ricerca della caratteristica sagoma, anche quando ci si trova nel fondovalle.
Per chi vuole salire di quota, una meta interessante è il Rifugio Quinto Alpini (2.877 metri), alla base della vetta della Vedretta dello Zebrù. Da qui si gode una vista superba, sia sulla valle, sia lungo la cresta delle “Tredici Cime”, dal monte Cevedale fino al Pizzo Tersero.
C’è anche l’aquila reale
Il rifugio è un ottimo punto di osservazione per “sbinocolare” alla ricerca anche dell’altro rapace di montagna per eccellenza: l’aquila reale (Aquila chrysaetos). Presente in tutto il territorio del parco con ben 34 coppie, questo predatore frequenta regolarmente i rilievi della Val Zebrù e non esita a “litigare” in volo con il gipeto, anche se non esiste una marcata competizione per il cibo.
Ma se con l’aquila non si ha fortuna, oltre all’itinerario appena descritto, un altro punto di osservazione è l’Alpe Solaz (ci si arriva con un’escursione di un’ora circa partendo da Plazzanecco, la frazione a monte di Niblogo, raggiungibile in auto) che si trova sul confine del territorio frequentato da due coppie del rapace.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com