Di notte tutto cambia. Certi sensi si attenuano, altri prendono forza, compaiono organismi invisibili durante il giorno, sbocciano fiori incredibili e il concerto dei suoni si esibisce in un notturno che nessun musicista potrà mai comporre. Questo sulla terraferma, nel nostro mondo, ma in mare cosa succede? Di tutto e di più.
Che nel mondo marino la notte fosse speciale lo si sapeva da tempo. La notte è il momento dei cacciatori notturni, di grandi spostamenti di schiere di animali dal fondo verso la superficie e dei risultati di grandi amori di cui l’uomo è da poco diventato spettatore grazie alla diffusione di una tecnica fotografica che si chiama “black water”.
Il nome potrebbe far pensare a qualche cosa di pericoloso e in effetti potrebbe essere il titolo di un film thriller, come è accaduto, oppure di una saga gotica di recente uscita in libreria.
La “black water” dei fotosub non è niente di tutto ciò anche se non si può nascondere che sia effettivamente un po’ adrenalica. Per praticarla occorre immergersi di notte in mare aperto, sopra fondali profondi e restando nei pressi di alcune luci senza perdersi o farsi portare via dalle correnti. In questa attività le luci sono tutto e svolgono un ruolo essenziale perché hanno il compito di attirare i tanti organismi che passano nelle vicinanze portati dalle correnti e di metterli in evidenza. Qualcuno potrebbe pensare che si corrono grandi rischi, ma così non è perché quello che passa e che si vede è composto per lo più da soggetti piccoli che richiedono un occhio attento, riflessi rapidi perché nessuno si mette in posa, e macchine fotografiche dotate di lenti macro.
Le foto di cui è autore il caro amico Emilio Mancuso, biologo marino, fotosub e giramari, al quale ho affidato ormai da tempo una sorta di testimone simbolico, provano quanto scrivo. Quelle che vedete sono minuscole creature marine, spesso ancora allo stadio larvale o molto, molto giovanile, le cui dimensioni a volte si misurano in poche decine di millimetri o, più empiricamente a unghie, secondo un metodo che un caro collega chiama AOC (“A OCio” – a occhio!).
Per quanto sintetica, la descrizione può dare l’idea di quanto sia affascinante e impegnativo questo speciale tipo di fotografia che permette ai fotosub di vedere cose che molti biologi non hanno mai visto e forse non vedranno mai perché ogni “black water” è diversa e ogni volta assomiglia alla scatola di cioccolatini di Forrest Gump, nel senso che non sai mai quello che ti può capitare.
Ogni scatto diventa così unico, irripetibile e spesso documenta aspetti straordinari della vita marina che forse saranno incasellati a distanza di tempo in ciò che sappiamo della vita di questa o quella specie.
Una delle maggiori difficoltà della “black water” è capire che cosa si è visto e la cosa è comprensibile se si pensa che, ad esempio, i crostacei hanno anche cinque fasi metamorfiche, cioè di aspetto diverso, e altri gruppi non sono da meno quanto a differenze tra larve e adulti. Insomma scoprire cosa si è fotografato non è semplice, ma costituisce forse una parte altrettanto affascinante e intrigante come scoprire chi è il colpevole attraverso gli indizi disseminati tra le pagine dei romanzi gialli.
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