Il classico “un colpo al cerchio e un colpo alla botte” è quello che arriva dalla National Academies of Science, Engineering and Medicine (un potente think tank no-profit scientifico) che ha pubblicato un corposo report sui cibi geneticamente modificati.
Secondo questo organo consultivo, il cibo derivato da organismi geneticamente modificati non sarebbe quel “mostro mutante” additato gli oppositori, perché rimarrebbe generalmente sicuro per gli uomini e per l’ambiente; ma… (e qui viene la parte più inedita e interessante) non servirà a sfamare il mondo grazie a un’accresciuta produttività dei campi, come promesso dai suoi fautori.
Allora, visto che siamo in tema di detti popolari… “qui casca l’asino”! Se gli OGM non servono a migliorare la produzione alimentare e a sfamare il mondo, perché farli? A che pro? Se non per arricchire le multinazionali che li producono?
Sfatato il falso mito della produttività
Tornando al focus più eclatante del report, quello della produttività, si sostiene che se l’agricoltura intensiva in qualche modo è aiutata dagli OGM, i piccoli agricoltori e quelli che operano nelle aree più povere del mondo che sono passati dalla coltivazione tradizionale a quella OGM non hanno affatto ottenuto un miglior rendimento del raccolto.
Il report, di 408 pagine, sottolinea che il confine tra cibo naturale e ingegnerizzato geneticamente si sta facendo sempre più sottile a causa di nuove tecniche di manipolazione, come quella della programmazione genetica: per questo, i legislatori e gli enti di controllo dovrebbero focalizzare la loro attenzione più sul prodotto finale (il cibo) che sulle diverse componenti con cui è fatto. Secondo gli autori del report, inoltre, la specifica in etichetta che il cibo deriva da OGM non sarebbe necessaria per ragioni di sicurezza alimentare, bensì solo per motivi di trasparenza e di atteggiamento culturale verso la problematica.
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